Piskor è vivo, noi siamo morti


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Ed Piskor è stato un nome centrale della scena del fumetto indie: dalla sua matita sono uscite tavole fortunate come la serie sulla storia dell’hip hop Hip Hop Family Tree, la rivisitazione di un classico in X-Men: Grand Design e la trilogia di Red Room. Il canale YouTube Cartoonist Kayfabe, che gestiva col collega Jim Rugg, ha pubblicato interviste a fumettisti celebri o promettenti e discussioni per appassionati del settore.

Ed Piskor è stato, al passato prossimo, perché il primo aprile del 2024 si è ucciso, all’età di 41 anni, dopo uno scandalo montato improvvisamente sui social media che l’ha visto protagonista in negativo. La storia della sua fine è emblematica, in parte già sentita, ma anche terribilmente educativa.

Una vignetta di Ed Piskor da “Hip Hop Family Tree”.

A marzo la cartoonist Molly Dwyer, nota anche con il nome d'arte Sydgoblin e oggi 21enne, ha condiviso sul suo profilo Instagram screenshot di sue passate conversazioni con Piskor, risalenti al 2020, quando lei aveva 17 anni. Ha chiamato il collega, tra le altre cose, «un fottuto MANIACO», spiegando che «si è infilato nei suoi messaggi privati» di Instagram quando lei era ancora minorenne per adescarla (per chi vuole, le storie postate da Dwyer sono qui).

In seguito un’altra donna, l’omonima Molly Wright, di professione animatrice, ha dichiarato pubblicamente sul suo profilo X che Piskor le aveva promesso il numero di telefono del suo agente in cambio di una fellatio. Sempre su X, la podcaster nota come Taffeta Darling ha scritto che Piskor le aveva offerto di presentarla a persone importanti dell’industria del fumetto se lei fosse andata a casa sua a farsi disegnare nuda.

Nessuno di questi post è più visibile: è rimasta soltanto la versione di Piskor, che in un ultimo messaggio affidato a uno scarno Google Doc ha negato le accuse, spiegando che quelli mostrati da Dwyer erano messaggi messi fuori contesto, e che negli anni intercorsi dal loro invio era stata lei a cercare lui per fare sesso; che quanto detto da Wright «non è mai accaduto»; quanto a Taffeta Darling invece sì, avrebbe voluto disegnarla senza vestiti, «e non mi scuserei mai per volerlo».

Il nocciolo duro di queste storie, in fin dei conti, riguarda sempre una scelta di campo: con chi scegli di stare? A chi scegli di credere? E cosa dice la tua scelta di te? Come chiunque non sia loro quattro, non so se Ed Piskor abbia mai molestato in modo socialmente sanzionabile Molly Dwyer, Molly Wright o Taffeta Darling. Non voglio credere senza esitazioni a lui e non voglio credere senza esitazioni a loro, con tutto quel che ne consegue.

So però che una persona è morta perché, citandola, si è sentita «impotente contro una folla inferocita di questa portata»; che ha scritto con consapevolezza, prima di farla finita, «sono stato ucciso da bulli di internet. Alcuni di voi là fuori hanno contribuito alla mia morte mentre vi divertivate coi pettegolezzi. Non sono un’AI. Sono un essere umano vero. Avete scheggiato piccoli pezzi della mia autostima per tutta la settimana fino a quando non sono stato vaporizzato».

La suicide note di Piskor, a prescindere da ogni altra considerazione, è umanamente straziante e difficile da leggere per chiunque. Ma è anche una lettura da fare, perché a suo modo è un trattato di educazione civica scritto da una persona che dalla mattina alla sera si è vista tramutare in un «paria» senza scampo.

Non lo faccio per senso di colpa [...]. Le mie intenzioni non sono mai state sordide né con lei [Molly D], né con nessun altro. Lo faccio per un’intensa vergogna. Non siamo fatti per avere centinaia di persone che ci giudicano e/o ci molestano in contemporanea. Una mente privata e solitaria non può sopportarlo.

Una questione mi sembra dirimente, fra le tante che si potrebbero discutere. Poniamo, per ipotesi di scenario, che Piskor sia stato un predatore sessuale al 100% colpevole, e che le accuse a lui rivolte fossero solo un’anticamera delle sue vere colpe: in che modo la marea montante algoritmica avrebbe sanato questi abusi? Cosa fa davvero per il progresso della società la feroce ostracizzazione corale di un nuovo portatore di lettera scarlatta?

È questo che dobbiamo chiederci. «I cittadini di internet stanno facendo giochi pericolosi con la vita delle persone», ha sostenuto nel suo ultimo scritto Piskor, ma sono giochi oltretutto inutili, a somma zero. Che soddisfano solo chi può usarli come passatempi, per poi gettare lo smartphone sul divano e tornare a guardare un film su Netflix.

Solo qualche orrendo mutante plagiato dai like – tipo questo qui – può pensare che al fumettista sia stata aperta davanti la porta di una vera «accountability», magari dura, ma doverosa. Nella realtà, una mostra dedicata alle sue opere nella città natale di Pittsburgh era già stata cancellata; il suo partner artistico di sempre Jim Rugg l’aveva già scaricato con un post su Instagram; una tv e un giornale locale avevano già inviato dei reporter a casa dei suoi genitori, senza premurarsi di oscurare il numero civico nelle riprese. E via discorrendo.

Non ci viene il sospetto che, se le accuse di comportamenti inappropriati come quelle dirette a Ed Piskor ritornano identiche dopo anni e anni di mobilitazioni sulle piattaforme, forse oltre ai peccatori ci sono limiti anche nello scopo intrinseco, negli effetti e nella grammatica di queste mobilitazioni? Finché al posto dei discorsi mirati a educare su un piano complesso metteremo al centro del palcoscenico le giostre che si fermano alla punizione più triviale, il riflettore sarà sempre sulla cancel culture e mai sulla cultura, astraendo da ogni contesto vittime e carnefici.

Noi utenti, però, possiamo fare una scelta: ogni giorno abbiamo modo di non aggiungere neve alle valanghe in formazione. Dire «non potevo immaginare» nel 2024 non è più una scusa, anche in casi meno dolorosi e tragici di quello di Ed Piskor: abbiamo il dovere di pensare che le folle sono sempre volubili, rabbiose e crudeli, anche quando hanno ragione.

Ed Piskor prima di morire ha citato alcuni colleghi che avevano rilanciato entusiasticamente le accuse che gli pendevano sulla testa, senza alcun interesse per il verificarne la portata e i dettagli, dicendo loro «avete avuto il vostro pezzo di carne». E alla fine, come estremo auspicio: «Spero che questo indurrà le persone a pensarci due volte prima di unirsi a un accanimento mediatico su internet».

Ecco: se non prendi sul serio nemmeno le parole di un uomo che sta per morire, chiediti se sei ancora del tutto vivo.

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