Che cos’è Culture Wars

“Dittatura del politicamente corretto”? “Non si può più dire niente”? “La cancel culture non esiste”? Quante volte hai letto queste frasi? Quante volte sei riuscito/a a capirne il senso, o a discuterne davvero?

Questa newsletter nasce per fare da argine agli slogan e ai pressapochismi pavloviani intorno ai discorsi politico-culturali della nostra epoca, e agli scontri su temi importanti (ma talvolta anche apparentemente molto laterali) che hanno colonizzato la politica occidentale: sono le culture wars, dal titolo di un saggio del 1991 del sociologo James Davison Hunter, Culture Wars: The Struggle to Define America.

La definizione da vocabolario dice che sono quelle lotte tra gruppi sociali per l’affermazione dei loro valori di riferimento, ma oggi si invocano perlopiù per fornire una cornice concettuale alle divisioni, alle assurdità, alle polarizzazioni e al caos a cui siamo esposti nel mondo che discute di rappresentatività culturale, identità, «politicamente corretto» e affini.

Nato alla fine del 2021, Culture Wars è un progetto che vuole parlare delle cose di cui non si riesce a parlare nel Panopticon dei nostri mezzi di comunicazione, stretti fra algoritmi, polarizzazioni e spirito di corpo, e discutere con pluralità di voci e sguardi di come – e dove – evolvono le nostre società, i nostri valori, in ultima analisi la nostra prospettiva sul mondo.

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Da queste parti proviamo a capire qualcosa del grande cambiamento di codici e sensibilità sociali dell’era algoritmica che stiamo vivendo, e delle particolarità degli scontri che porta con sé. Farlo non è sempre semplice, e anzi: scegliere un fronte online di cui diventare opliti fedeli e ciechi dà infinitamente meno seccature. Però dobbiamo tentare di essere migliori di così: darsi addosso sui social crea dipendenza, è vero, ma oltre ad avvelenarci non aiuta nessuno.

Io sono Davide Piacenza, e scrivo di attualità e cultura sui giornali italiani da un decennio. Ho lavorato a Wired, Forbes e Rivista Studio, e scritto anche per Esquire, Vanity Fair, La Stampa, Icon, Il Post e altri ancora.

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