Non si gioca con l’anguria 🍉


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Immaginate il mondo del gioco da tavolo, un settore da tempo in fase di evoluzione e rilancio, con tantissimi appassionati e giri d’affari rilevanti: lo state immaginando interessato solo ai conflitti risolvibili lanciando manciate di dadi? Beh, vi sbagliate di grosso.

In particolare negli ultimi anni la diffusione dei board games e la sensibilizzazione del pubblico hanno già portato a diversi casi in cui l'ambiente si è dovuto confrontare con le istanze culturali più recenti.

Nonostante si tratti di un settore ancora poco esposto e con una spiccata propensione all'evasione, quello del gioco da tavolo – come tutto il resto dell'industria dell'intrattenimento – si è quindi già accorto di non potersi tirare completamente fuori dalla complessità contemporanea. Chi scrive lo frequenta da un po', e la sua apparente frivolezza in realtà nasconde profonde discussioni, dibattiti e distinzioni, che per qualità e intensità spesso, anzi, dimostrano il grande fervore intellettuale in cui è sempre più immerso.

Ed è così che nel bel mezzo della composta e ordinata cerimonia per il premio ludico più importante al mondo, lo Spiel des Jahres (letteralmente “Gioco dell’anno”), irrompe deflagrante il conflitto israelo-palestinese, sotto forma di una fetta di anguria disegnata su una maglietta.

Il fatto, in sintesi: durante l'evento tenutosi il 21 luglio, il game designer Matteo Menapace indossa una t-shirt scura con una fetta di anguria impressa sopra, che lì per lì non viene notata da nessuno. Menapace – en passant il primo italiano di sempre ad aggiudicarsi il premio – partecipa all'evento normalmente e al momento della premiazione commenta la vittoria senza alcun proclama. Solo dopo, durante le consuete chiacchiere al buffet, qualcuno nota che quella fetta di anguria possiede gli inconfondibili contorni dello stato di Israele. E così scoppia il caso.

Una premessa forse scontata, ma spero utile: da tempo l'anguria, e in particolare l’emoji della sua fetta, è diventata un simbolo pro-palestinese. I motivi sono molteplici: a seguito della Guerra dei sei giorni del 1967 la bandiera palestinese è stata proibita da Israele fino agli accordi di Oslo del 1993, perciò i sostenitori della causa araba si dovettero inventare qualcosa per contrastare il divieto. Il frutto della cucurbitacea venne scelto per i colori bianco, rosso, verde e nero, che ricordano chiaramente quelli della bandiera palestinese; inoltre pare che proprio l'anguria fosse diffusamente coltivata nei territori occupati.

Negli ultimi tempi il simbolo ha preso piede entrando pienamente a far parte dei codici semantici del conflitto, proprio per la sua iconicità e capacità di aggirare le censure, comprese quelle online. Oltre che su manifesti di propaganda e pacifisti, lo si può trovare usato largamente in formato emoji sui social e nel merchandising a scopi umanitari, proprio come quello indossato da Matteo Menapace. Insomma, l'anguria è diventata un emblema universalmente riconosciuto di solidarietà alla popolazione palestinese, in particolare dopo la devastante ritorsione israeliana che l'ha colpita a seguito dell’eccidio compiuto da Hamas il 7 ottobre 2023.

Ma lo Spiel des Jahres non si svolge in un Paese qualunque, e non sorprende che la Germania – patria del moderno gioco da tavolo – abbia una particolare sensibilità riguardo alle questioni ebraiche, oltre ad un rapporto elettivo con lo stato di Israele. Attraverso una serie di inferenze forse un po' forzose, alla kermesse la fetta di anguria a forma di Israele viene quindi presa come un sostegno alla cancellazione dello stato ebraico, portando così a un’aperta accusa di antisemitismo per il game designer nostrano.

A conseguenza di ciò, attraverso un comunicato, l'organizzazione dello Spiel des Jahres ha dichiarato Matteo Menapace ospite non più gradito (una formula simile, tra le altre, a quella che venne destinata al regista Lars Von Trier dopo le sue dichiarazioni, ben più sconvolgenti, rese al Festival di Cannes nel 2011 – anche se poi vi tornò nel 2018).

Il caso ha giĂ  coinvolto anche l'editore del gioco, che nei commenti sui social ha tenuto a sottolineare la sua estraneitĂ  nei confronti delle idee di Menapace, il quale come da copione ha ricevuto sostegno o biasimo a seconda degli orientamenti. Vale la pena sottolineare come il gioco per cui Menapace, insieme al piĂą noto collega Matt Leacock, ha vinto il premio, Daybreak, riguarda la necessitĂ  di coordinare gli sforzi delle potenze mondiali per impedire il collasso climatico: un tema quindi eminentemente politico.

Si può comprendere il tentativo dello Spiel des Jahres di mettere le mani avanti su uno scandalo che sarebbe scoppiato in ogni caso da lì a qualche momento. L'immediata e dura decisione sembra però dimostrare un’assenza di preparazione di fronte all’inatteso, più che un’applicazione ponderata di una policy.

E in questo senso è interessante notare come nel suo commento lo stesso Menapace, che non ha mai nascosto il suo posizionamento pro-Palestina, non agiti nessuna forma di vittimismo, anzi si assuma la propria piena responsabilità senza contestare la decisione presa dall'organizzazione.

Un esito insomma che alla fine sembra essere accettato da tutti, anche da chi ha voluto esporsi pagandone il prezzo, forse non a caso a poche ore dalla risoluzione ufficiale con cui il parlamento israeliano si impegnava formalmente a impedire la formazione di un qualunque stato palestinese.

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