Alice Munro, tutto su mia madre


🗣️
Questa puntata di Culture Wars è gratuita e aperta a tutti. Se ti piace, considera di unirti agli abbonati: Scopri i piani membership.

Tra il primo luglio e il 31 agosto del 1976 Andrea Robin Munro – la figlia della scrittrice recentemente scomparsa Alice Munro, oggi nota col nome da coniugata Andrea Skinner – è stata a più riprese molestata sessualmente dal secondo marito di sua madre, Gerald Fremlin, nella loro casa di Clinton, una cittadina a due passi dalle sponde del lago Huron che segnano il confine fra Canada e Stati Uniti d’America.

Lo sappiamo perché l’11 marzo 2005 il tribunale della locale contea di Goderich ha stabilito che Fremlin, allora già ottantenne, quasi trent’anni prima aveva «aggredito a fini sessuali» Andrea, che nel 1976 aveva nove anni e si trovava in Ontario per passare l’estate con la madre.

Alice Munro era già una scrittrice famosa in Canada, benché ancora lontana dal diventare un’icona letteraria globale: Andrea era nata nel 1966, quando la madre era ancora legata al suo primo compagno, Jim Munro, e i suoi genitori avevano comprato una grande casa a Victoria, nella British Columbia, a migliaia di chilometri dall’Ontario. Secondo gli accordi post-separazione tra i Munro, la bambina avrebbe trascorso l’anno scolastico a ovest, nella Columbia britannica, per poi passare i mesi estivi nella casa di Huron County.

Huron County è il riconoscibile scenario bucolico delle storie di vita famigliare e relazionale che hanno reso famosa Alice Munro. Ma è anzitutto il luogo in cui “Gerry” Fremlin, di professione geografo, ha molestato Andrea Munro e, secondo quanto riportato, altri bambini e ragazzini in età prepuberale.

Andrea Munro ha deciso di affidare la sua storia a un devastante articolo del Toronto Star in cui racconta come quei fatti del 1976 abbiano segnato per sempre la sua vita e il rapporto con se stessa e con gli altri, a partire da quello con la sua famiglia. Nel 1992, da ventenne, Andrea si era fatta coraggio scrivendo alla madre per confessarle «un terribile segreto»; non l’aveva fatto in precedenza, temendo che lei le addossasse ogni colpa.

E così sarebbe andata, effettivamente: dopo un primo breve periodo di separazione dal compagno pedofilo, Munro era tornata da Fremlin, adducendo di non poter stare senza di lui; Fremlin, dal canto suo, aveva inviato lettere a Jim Munro e alla sua nuova compagna Carole Sabiston ammettendo i fatti, ma negando la ricostruzione di Andrea e parlando addirittura di una situazione «alla Lolita e Humbert», in cui sarebbe stata la bambina a provocarlo.

Nel 2004, il New York Times Magazine ha pubblicato un’intervista ad Alice Munro in cui quest’ultima ritrae il compagno come «l’amore della sua vita», una persona per lei insostituibile, un centro di gravità permanente: la proverbiale ultima goccia che ha portato la figlia Andrea – con cui la scrittrice non parlava già da qualche anno – a consegnare alla polizia dell’Ontario le lettere incriminanti scritte da Gerald Fremlin, che poi è stato condannato a due anni di condizionali ed è morto nel 2013, lo stesso anno in cui la moglie è stata insignita del premio Nobel per la letteratura.

Quando storie come queste fanno capolino nella confusione della polis digitalizzata, di norma si buttano nella mischia espressioni come «indignazione social» e «cancel culture», oltre a varie considerazioni sul dove posizionare lo spartiacque tra arte e artista, tra intelletto che scrive e prassi della persona che vive, e via discorrendo.

Nel caso di Alice Munro, va detto, non prestarsi all’accostamento rituale fra esistenza scritta ed esistenza vissuta è particolarmente arduo: non solo i suoi racconti si svolgono negli stessi luoghi in cui ha permesso che la sua terzogenita venisse molestata dal marito, ma raccontano per allusioni e salti narrativi storie segnate dai segreti e dai rimossi delle trame familiari della classe media.

In Segreti svelati (Einaudi, 2008) appare il racconto Vandali, dove l’anziana Bea Doud corrisponde con una giovane ragazza, Liza, dopo aver perso il marito, un iracondo tassidermista di nome Ladner. Liza e suo fratello Kenny da piccoli erano vicini di casa di Ladner, che li portava nel suo terreno verde di alberi e – Munro è attenta a farlo intendere di sponda, senza scriverlo apertamente – abusava di loro. Dalla traduzione di Marina Premoli:

Quando Ladner afferrò Liza e le si schiacciò contro, lei ebbe la sensazione che un pericolo fosse annidato nell’uomo, un crepitio meccanico, come se dovesse esaurirsi in una stilettata di luce e che di lui non dovesse rimanere niente altro che fumo e odore di bruciato e fili elettrici a brandelli. Al contrario Ladner si afflosciò con pesantezza, come una pelle di animale che si libera dopo essere stata svuotata della carne e delle ossa.

Bea Doud sapeva e aveva scelto di perdonare, forse, o di essere complice e dimenticare. Alice Munro sapeva? E se sì, quanto? E se sapeva, perché non ha fatto in modo di rompere il circolo di violenza ai danni di deboli a lei vicini che non potevano difendersi? E ancora, che peso può avere tutto questo nel nostro approccio alla sua opera?

Come nei libri di Alice Munro, la terribile vicenda che riguarda sua figlia Andrea è fatta da decenni interi di non detti, di silenzi, di rimozioni di branco: «C’era il dubbio, c’era l’ignorare le conseguenze, c’era la paura, c’era la codardia e c’era il fattore fama. È stato un grosso problema», ha spiegato al Toronto Star Jenny Munro, la sorella maggiore di Andrea.

Tutti sapevano ma nessuno si è dimostrato disposto ad ascoltarla: non la madre che l’aveva messa al mondo; non il padre biologico, a cui era stata raccontata la violenza e se ne era messo prontamente al riparo, per salvaguardare la sua serenità; non i fratelli e le sorelle, incapaci di dare la giusta dimensione all’accaduto; non la comunità di adulti delle due cittadine, giacché anche se «tutti sapevano» (parola di Carole Munro), nessuno ha aiutato la bambina, e poi la ragazza, e poi la donna a venir fuori dal suo incubo.

È un mondo così crudele e distorto che una confessione del genere dev’essere preceduta, sul giornale che l’ha pubblicata, da un paragrafo che spiega che i figli della scrittrice, pur parlando di questa vicenda, «vogliono che il mondo continui ad adorare l’opera di Alice Munro», ma nel contempo, dopo tanti anni, «si sentono obbligati a condividere cosa significasse crescere nella sua ombra, e come proteggere la sua reputazione abbia avuto un costo devastante per sua figlia».

Perché di questo si parla. Certo, quando si naviga in queste acque tutto va sempre verificato, e di certo i processi agli scrittori non si possono fare postumi, ma i dati in nostro possesso parlano di una coltre di fama, successo, potere che ha offuscato il dolore intollerabile patito da una persona nell’arco di una vita intera. È Andrea Munro stessa a dirlo: «Molte persone influenti sono venute a conoscenza di parti della mia storia, eppure hanno continuato a sostenere e a integrare una versione che sapevano essere falsa».

Parlando di quanto questo orrore privato sia legato a doppio filo alla fiction di dominio pubblico, va aggiunto che a convincere Andrea Skinner a scrivere alla madre, quel giorno del 1992, era stata la reazione di Alice Munro a una short story in cui una ragazza muore suicida dopo aver subito abusi sessuali da parte del patrigno. Quella volta, Munro aveva chiesto a Skinner perché la ragazza del racconto non fosse andata a dirlo a sua madre, ma quando lei l’aveva fatto aveva paradossalmente trovato una porta chiusa, a cui avevano fatto seguito anni di silenzio e allontanamento.

Sì, è ovvio: chi lancia petizioni digitali per la revoca di questo o quel premio letterario ha una strana (e deleteria) concezione della letteratura e della società, a cui questa newsletter non ha lesinato critiche. Ma non possiamo applicare il passepartout della “cancel culture” come se fosse la chiave che apre ogni porta: qui non stiamo parlando di vecchie accuse mai provate ritirate fuori da un pugno di esagitati su Twitter, né del titolo strappa-engagement di un editoriale sciocco che cerca di giocare alle guerre culturali su una mostra di Tiziano.

Quello che è successo ad Andrea Skinner è stato avvolto dall’ombra rassegnata del tempo, dal silenzio disperato che popola tanti dei bellissimi racconti della madre, ma è, anzitutto, successo nel mondo reale; e nel mondo reale nessun adulto ha saputo proteggere una bambina dal male, in un contesto in cui avrebbe avuto ogni strumento per farlo.

Prima di morire, Alice Munro ha provato a scacciare anche gli ultimi simulacri tardivi di senso di colpa spiegando alla figlia vittima di violenza – l’ha detto la stessa Andrea Skinner – «che la colpa era della nostra cultura misogina, se mi aspettavo che lei negasse i propri bisogni, si sacrificasse per i suoi figli e rimediasse agli errori degli uomini». Parole che nei suoi lettori affezionati lasciano un vuoto sbigottito: le donne munroviane sono spesso in balia degli uomini e le loro malefatte, sì, ma la donna Munro lo era davvero fino a questo punto?

Nella sua lunga e premiata carriera letteraria, la più grande scrittrice canadese di ogni tempo non deve aver mai ammesso – nemmeno a se stessa – che non basta la fiction per scappare dai segreti o per cambiare il mondo, specie se decidi di chiudere gli occhi di fronte alla parte di mondo che dipende da te. La riparazione è parziale, il guasto si ripresenta e alla fine tocca gettare via tutto: non è una cancellazione, ma qualcosa di più ancestrale e complicato.

Altre news dal fronte

  • Quando dico che la massa critica degli utenti che orientano le conversazioni online ha tantissimo tempo da perdere, ecco, beat this (c’è un mondo da scoprire, cercando “Miami Vice”: fai le tue ricerche);
  • Avere università tendenzialmente di sinistra è un vantaggio per gli studenti conservatori?

Evviva! Hai completato l’iscrizione a Culture Wars. La correzione del mondo
Daje! Ora dai un’occhiata e considera di passare alla versione premium.
Errore! Iscrizione impossibile a causa di un link non valido.
Bentornato/a! Login effettuato.
Errore! Login non andato a buon fine. Per favore, riprova.
Evvai! Ora il tuo account è attivo, hai accesso a tutti i contenuti.
Errore col checkout via Stripe.
Bene! Le tue info di fatturazione sono state aggiornate.
Errore! Le tue info di fatturazione non sono state aggiornate.