Buongiorno (o al limite buonasera, se sei in ritardo), sono Davide Piacenza e questa è la mia newsletter Culture Wars, che dalla settimana prossima fa ciao ciao a Revue – la piattaforma che te l‘ha spedita a domicilio in questi primi sei mesi – e grazie a un crowdfunding di successo (grazie ancora, eh 🙏🏻) passa alla sfavillante Ghost, con una serie di novità che vedrai nei prossimi giorni.
Allaccia le cinture, ci vediamo di là.
Alpini brava gente
«E Celestina in cameretta che ricama rose e fiori
E vien da basso o Celestina ch'è rivà il tuo primo amore
Dove sei stato mio bell'alpino che ti g'ha cambià colore
L'è stata l'aria dell'Ortigara che mi g'ha cambià colore
I tuoi colori ritorneranno questa sera a far l'amore».
“Dove sei stato mio bell’alpino” è un canto popolare le cui radici si perdono nella storia dell’Italia seicentesca, diventato a partire dall’unità d’Italia uno dei simboli del corpo degli alpini. Dal 5 all’8 maggio si è tenuta a Rimini la 93ª Adunata nazionale delle truppe da montagna dell’esercito, un ritrovo annuale che riempie la città ospitante di uomini che molto spesso sono di mezza età e altrettanto spesso hanno alzato il gomito, in contestabile ossequio allo stile di vita cameratesco che celebrano.
Questi ingredienti, non da oggi, generano un clima difficile – quando non apertamente pericoloso – per le donne, specie se non accompagnate. L’ha riportato la divisione riminese dell’associazione attivista Non una di meno, raccogliendo oltre 500 segnalazioni di molestie nei giorni dell’adunata e più di 160 racconti che le descrivono.
Qualcuno ha obiettato che le denunce pervenute alle autorità sono molte meno (al momento si contano sulle dita di una mano), ma è piuttosto ovvio che non si può fare della denuncia l’unico metro per considerare resoconti di umiliazioni e molestie verbali o fisiche estemporanee come quelle descritte dalle riminesi: palpeggiamenti, catcalling, gruppetti di uomini ubriachi che fanno avances seriali sgradevoli, eccetera (Saverio Tommasi di Fanpage è andato a Rimini e ha realizzato un breve video sull’accaduto).
Con 400mila presenze in pochi giorni, è verosimile, come rapidamente addotto dall’Associazione nazionale alpini, che ci siano «centinaia, se non migliaia, di giovani che pur non essendo alpini, approfittano della situazione», ma senza riflessioni più profonde e sentite la spiegazione pare più che altro una foglia di fico. Il presidente dell’Ana Sebastiano Favero ha in seguito cambiato rotta in un’intervista col Corriere della Sera, spiegando che:
Adesso ci sono fatti concreti. E mi consenta innanzitutto di chiedere scusa a chi ha subito le molestie. Faremo di tutto, insieme alle forze dell'ordine, per individuare i responsabili.
La vicenda interessa ciò di cui ci occupiamo ogni settimana in questa newsletter soprattutto in relazione a un’altra osservazione che ha raccolto, però, che potremmo riassumere in: perché soltanto adesso?
Il raduno annuale degli alpini è noto da tempo per lo spirito di corpo dalle tinte sessiste che porta con sé: nel 2018 a Trento ospitava una serata dedicata a «Miss Alpina bagnata», con tanto di flyer che invitava a eleggere «la tua alpina preferita» gettando birra addosso alle ragazze.
In queste ore si sono moltiplicati i racconti e i resoconti di molestie risalenti al raduno del 2019 a Milano e a quello del 2017 a Treviso: donne umiliate, toccate e baciate contro la loro volontà, e infine non credute. Il ricercatore di sociologia Michele Dal Lago è tornato indietro nel tempo fino all’adunata di Bergamo del 2010, scrivendo: «Ricordo i gruppi di ragazze che si rifugiavano all’interno dell’università dove lavoravo perché, se restavano all’ingresso, venivano tormentate e spaventate da sti personaggi».
Ma allora, cosa è cambiato nel 2022? Beh, forse la società in cui viviamo. Forse quello che è successo non va più bene alla maggioranza delle persone. Forse quel che fino a dieci o cinque anni fa era ancora considerato tutto sommato una tollerabile carnevalata, oggi viene (per quel che mi riguarda: giustamente) considerato una forma di prevaricazione e di molestia sessuale.
D’altronde i cambiamenti di questo tipo di coscienza sociale possono rimanere sottotraccia ed esplodere all’improvviso, quando la consapevolezza collettiva ha passato un punto di rottura (che nel caso specifico è rappresentato da video di ragazze giovanissime palpeggiate da uomini adulti, o addirittura anziani).
Certo: sui social, terra di grandi banalizzatori, influencer a caccia di like e persone che hanno troppo tempo da perdere, gli alpini sono già diventati un magma indistinto di violentatori e molestatori seriali. Dalli all’alpino, mettimi il cuoricino.
Questo è avanspettacolo anche un po’ triste, ma il problema esiste, e viene individuato anche da alcuni degli stessi alpini. Condivido con te il bel post su Facebook di Umberto Cosmo, un alpino che non era a Rimini, ma ha idee molto precise su ciò che è successo a Rimini.
Va ripensato, lo affermo non da ieri, lo stile delle nostre adunate.
La ricerca di sempre maggiore visibilità da parte di Ana, la nostra benemerita associazione, ha finito per portare l’adunata a trasformarsi da ritrovo tra commilitoni a kermesse nazional popolare caratterizzata dalla presenza di una folla di persone che poco o nulla hanno a che fare con lo spirito alpino.
Lo scrivo con dolore, ma non possiamo esimerci, nessuno di noi alpini, da un mea culpa collettivo per non aver riconosciuto per tempo la deriva di involgarimento, quasi di imbarbarimento, di una manifestazione che ha bisogno di ritrovare le proprie radici più profonde, anche se questo dovesse richiedere una diminuzione di visibilità e di conseguenza del potere politico dell’Ana.
E sono d’obbligo delle scuse collettive a tutte le donne, da parte di tutti noi alpini, anche da coloro che come me non hanno partecipato all’adunata di Rimini. Scuse non solo alle persone che hanno subito direttamente molestie o violenza, ma a tutte le donne perché, non nascondiamocelo, in buona parte di noi alberga, più o meno nascosto, un certo tipo di concezione del rapporto donna/uomo che deve giustamente cambiare.
È, quest’ultimo, un rapporto che sta già cambiando, a ben vedere. Chiudo con un altro commento trovato in giro che lo dice bene, con la sicurezza e la semplicità delle cose più vere, e senza timore di smentite. Un altro mondo non solo è possibile, ma è già qui intorno a noi.
Altre news dal fronte
- Uno dei punti nevralgici dell‘infuocata discussione sull’identità di genere e come viene insegnata nelle scuole americane: come si fa a unire il rifiuto degli stereotipi di genere a un altro necessario caposaldo di questi temi, cioè che per diverse persone l’espressione del proprio genere passa anche – ad esempio – dai vestiti che scelgono di indossare? È, in essenza, il crinale lungo cui corre la divisione tra buona parte dell’attivismo transgender e le femministe cosiddette “della seconda ondata” (quelle degli anni Sessanta e Settanta, per capirci), abituate alla nozione del genere come costruzione sociale, opposta all’idea di caratteri che gli sono legati in modo innato. Da questo singolo punto derivano molte delle terf wars che vedi (o a cui partecipi, nel caso peggiore) su Twitter;
- Libri da poco proibiti nel distretto scolastico di Nampa, in Idaho (è uno stato nord-occidentale degli Stati Uniti famoso per le patate, i mirtilli, le pietre preziose e le sue bellissime montagne: ora sai tutto): Il cacciatore di aquiloni di Khaled Hosseini; L’occhio più azzurro di Toni Morrison; Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood; Molto forte, incredibilmente vicino di Jonathan Safran Foer. Non so, devo commentare?
- Presente quella storiaccia del processo di Amber Heard e Johnny Depp? (È una domanda retorica: se hai aperto un qualsiasi social per dodici secondi nelle ultime settimane, ce l’hai presente). Bene: un ruolo centrale nella preparazione della causa è stato svolto dall’American Civil Liberties Union (Aclu) che è una delle principali sigle – se non direttamente la principale – a difesa delle libertà individuali negli Stati Uniti. Aclu ha reso Heard sua ambassador in una campagna contro la violenza domestica, dopo una donazione multimilionaria dell’attrice, e le ha addirittura fatto da ghostwriter e promoter.
Nata a difesa del Bill of Rights, l’American Civil Liberties Union da più di un secolo procura professionisti legali nei casi di presunte violazioni delle libertà individuali e di espressione, e le sue prese di posizione hanno un’enorme influenza nelle discussioni intorno ai diritti costituzionali. Dovrebbe, quindi, essere una delle forze in campo nelle culture wars che infiammano i college americani, no? Beh, no: perché dagli anni di Donald Trump l’organizzazione ha messo in campo una virata fortemente “woke” (leggere per credere) e, soprattutto, ha triplicato i suoi fondi, tenendosi progressivamente a distanza da qualsiasi coinvolgimento possa essere considerato “di destra”. La professoressa di Giurisprudenza a San Francisco Lara Bazelon, femminista di fede democratica, spiega sull’Atlantic perché questa svolta è un problema;
- Un bel thread su Twitter, inteso come complemento di argomento: l’autore ha risposto in modo misurato e pacato a un tweet insostenibilmente sciocco di Nico Piro, giornalista del Tg3 riscopertosi star della piattaforma dall’inizio del conflitto in Ucraina – e da allora sprofondato in una tana del coniglio di banalizzazioni e ossessioni – per criticare «l'aspetto deteriore della comunicazione via social». Piro l’ha bloccato, legittimamente: ma il perché ha scelto di farlo, travisando completamente il messaggio a cui rispondeva, è rilevante e dice molte cose sui rapporti più malsani coi social;
- Jack Posobiec, folle della peggior destra già noto per aver rilanciato e sostenuto la folle teoria cospirazionista del Pizzagate (il presunto – presuntissimo – giro di pedofili di fede progressista che avrebbe gravitato attorno a un’anonima pizzeria di Washington), è rimasto in tema inventandosi una campagna per dire al suo vasto pubblico che la sinistra ha rovinato una delle catene di fast food più famose d’America: Pizza Hut. Giuro.
The End: questo è l’ultimo saluto della “vecchia” newsletter, quindi permettimi di tirare fuori il fazzolettino d’ordinanza. Se vuoi condividi questa puntata e il link per l’iscrizione a Culture Wars, tenendo però a mente che da lunedì cambierà tutto. Can’t wait, come dicono quelli.