Sai chi ti saluta tantissimo?


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Dunque, sì, parliamo di quella cosa là: nella tarda serata italiana di lunedì 20 gennaio, alle celebrazioni per l’insediamento del nuovo presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il suo sempre più acceso sostenitore Elon Musk è sembrato proprio fare – insomma, ecco, uhm – un saluto romano.

Scrivo «è sembrato» più per incredulità personale che per dubbi effettivi su quanto è successo sul palco a Washington, anche se qualcuno è stato più cauto (vedi Il Post): Musk ha salutato il pubblico festante spiegando che «alcune elezioni contano molto, altre no, ma questa è davvero importante, e voglio soltanto dirvi grazie per averla resa possibile», poi si è messo la mano destra sul cuore e – dopo aver preso la rincorsa – ha fatto scattare il braccio come una molla, con tanto di mugugno di soddisfazione, tendendolo in alto alla sua destra. Non contento, ha replicato il gesto girandosi dal lato opposto del palco.

Ora: quello non voleva essere un saluto romano, ma era un semplice modo di ringraziare gli astanti lanciandogli simbolicamente il suo cuore? Possibile, certo. Ma soltanto scrivendolo mi viene in mente quella vecchia battuta di Daniele Luttazzi su Silvio Berlusconi e i suoi difensori più inossidabili:

Come faccio a dirlo? Per lo stesso motivo per cui se incontrassi per la strada di notte un tizio sudaticcio con in mano un coltellaccio insanguinato, la prima cosa che penserei non sarebbe: “Toh, un cuoco!”.

Ecco, io non vorrei impiegare ulteriori preziosi minuti della mia esistenza a fare la balistica degli arti superiori di Elon Musk, ma quello che è successo è davvero un punto di non ritorno della politica internazionale. L’uomo più ricco del mondo si presenta sul palco dell’incoronazione del presidente della prima superpotenza globale e poi... esercita la sua libertà di espressione (concetto a lui assai caro, nella teoria) con un doppio saluto fascista? Dopo anni di cassa di risonanza offerta all’estrema destra sulla sua piattaforma di comunicazione da miliardi di visitatori al mese?

Nonostante il detto, il buongiorno non si vede quasi mai dal mattino, ma in compenso è raro che una giornataccia non inizi subito a palesarsi: attorno a Trump si è stretta – per convinzione, opportunismo interessato e altre circostanze estemporanee – una consorteria di giro che ha nelle sue mani il potere politico, il potere economico e i mezzi di comunicazione di massa definenti di quest’epoca.

A poche ore dalla farsa – perché non c’è un altro nome con cui chiamarla – dell’addio di TikTok agli Stati Uniti, il suo Ceo Shou Zi Chew ha comunicato urbi et orbi la sua rinnovata e adorante volontà di collaborare col presidente Trump per risolvere le questioni aperte in capo alla holding della cinese ByteDance, e alla cerimonia di insediamento l’ad sedeva accanto alla prossima direttrice dell’intelligence Usa Tulsi Gabbard (il che non è poco, per il massimo rappresentante di un’azienda accusata per anni di essere uno strumento di propaganda straniera in terra americana). Trump, che era stato il primo a volerlo chiudere, oggi posta tranquillamente sui suoi profili slogan come «SAVE TIKTOK», in caps lock. Business as usual.

In ogni caso, sic transit gloria mundi: dopo il saluto di Musk il buon TikTok, l’oasi di libertà di espressione – concetto assai caro alla piattaforma, in teoria – dei nostri tempi, ha iniziato a censurare attivamente i contenuti relativi alla parola chiave «fascismo» (benché soltanto negli Stati Uniti, per ora).

Alla cerimonia di insediamento del 47esimo presidente degli Stati Uniti gli uomini più ricchi del mondo – che per inciso sono gli uomini più ricchi di ogni tempo su questo pianeta, persone che hanno i mezzi materiali e tecnologici per indirizzare le sorti del resto del mondo – sedevano in prima fila, davanti ai politici membri del gabinetto della nuova amministrazione. Un’immagine eloquente.

Si è saldato un fronte e dobbiamo farci i conti: bisogna fare tabula rasa del decennio di pie illusioni sui valori, le visioni del mondo, le scelte e le possibilità offerte dai social media. I social media ancora oggi, nel 2025, sono strumenti di aziende private il cui unico senso di responsabilità è rivolto all’accontentare i propri azionisti incrementando i profitti.

La responsabilità a sfondo sociale con cui ci siamo raccontati (e ci hanno raccontato) storielle a lieto fine per anni non è mai esistita: Mark Zuckerberg, il nuovo aedo della libertà di espressione – concetto che gli è straordinariamente caro, in teoria: ne abbiamo parlato qui, nella versione per abbonati della newsletter – non è mai stato né un alleato, né un “compagno che sbaglia”, e i suoi prodotti non meritano la nostra fiducia, i nostri dati e il nostro tempo.

Eppure tante, tantissime persone di sinistra – perché per la destra, invece, è facile: basta urlare più forte o buttare la palla in curva – sono cadute, anche in buona fede, nell’inganno della stanza degli specchi algoritmici: quelli per cui qualsiasi critica all’influ-attivismo che sguazza nella sua bolla artefatta meritava uno strale piccato o persino una scomunica; quelli per cui ogni cautela dubbiosa sugli effetti dei social media valeva una scrollata di spalle e un ok, boomer, talvolta «per sembrare di nuovo bello, e interessante, e moderno» (cit.); quelli, insomma, che non c’avevano capito niente, ma continuano imperterriti – nonché ignifughi rispetto a qualsiasi dato di realtà – a dirsi di aver capito tutto. Il prezzo di questa cieca testardaggine da confirmation bias, però, lo paghiamo tutti.

Lo dico senza mezzi termini: non ho idea di dove si possa andare, da qui. Di certo in luoghi bui, ripidi e almeno in parte inesplorati. Nessuno ci garantisce che alla fine di questo percorso a ostacoli il mondo sarà lo stesso: le macchine che ci hanno drogato di attenzione e confusione, modificando per anni il nostro rapporto con la realtà, oggi hanno gettato la maschera, hanno avviato la loro seconda fase e sono pronte a tutto pur di difendere la loro posizione monopolistica.

L’esperto di cybersecurity e «uomo di Musk in Italia» (cit.) Andrea Stroppa – che poco prima aveva twittato un messaggio trionfante a corredo del video dell’exploit dell’Inauguration, poi cancellato, scrivendo «l’impero romano è tornato» – ha attribuito il braccio teso di Musk al suo essere autistico. Altri parlano di fermi immagine fuorvianti. Gli storici del nazismo in sala Var, da parte loro, dicono che quello lo era eccome, un saluto di estrema destra. Tutto si esaurirà in un meme buono per la nostra soglia di attenzione da pesci rossi impastoiati a dopamina, come sempre, certo.

Ma me il braccio teso di Musk sembra invece la più compiuta incarnazione del sinistro allineamento di pianeti nella galassia dei media globali: gli oligarchi del potere comunicativo hanno trovato il loro nuovo oscuro signore-protettore politico, e col fanatismo dei convertiti fanno a gara a dimostrargli una lealtà che cambierà col primo alito di vento; una lealtà di facciata, pigra, doppiogiochista; una lealtà fascista, insomma.

Noi, dal canto nostro, se non l’abbiamo già fatto, dobbiamo soltanto iniziare a chiederci con più consapevolezza e frequenza se TikTok e Instagram e Facebook e X sono mai stati il tipo di luoghi a cui possiamo permetterci di lasciare in custodia le nostre strutture sociali e comunicative.

Se la risposta è «sì», alzo le mani: meno male che è tornato TikTok, i nostri giovani possono informarsi di nuovo liberamente, gli attivisti possono tornare a farsi sentire dove conta e, insomma, questo unicorno ha una bellissima criniera blu elettrico, non credi?

Se è «no», non discutete di Luca Marinelli che dice «make Italy great again» in una serie tv da polemichetta virale: discutete di Elon Musk che fa il saluto fascista di fronte al mondo intero. Perché la prima è fiction, la seconda no.

Altre news dal fronte

  • Tra i primi ordini esecutivi che il nuovo presidente firmerà, c’è quello che ribattezza il golfo del Messico «golfo d’America» (la cosa, giustamente, ha fatto molto ridere Hillary Clinton);

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