Hola, questa è Culture Wars, una newsletter che ricevi il venerdì per avere una finestra sul mondo delle “guerre culturali”, o come piace dire a me: al gran casino che succede quando miliardi di persone provano a mettersi d’accordo su ciò che si può dire e ciò che no.
Ah, io mi chiamo Davide Piacenza [stringe mano] e di mestiere scrivo.
Elon Musk, Twitter e lo spirito del tempo
A meno che tu non abbia passato qualche settimana su Marte (nel qual caso l’avresti preceduto in modo piuttosto clamoroso), avrai letto che il ricchissimo Elon Musk ha ufficializzato la sua offerta d’acquisto del totale delle azioni di Twitter, proponendo ai rispettivi proprietari una somma ragguardevole di 43 miliardi di dollari.
La notizia ha causato una mole inusitata di discorsi sul ruolo dei social media e su quanto garantiscono la libertà di espressione, anche perché Musk aveva anticipato la sua mossa con una serie di dichiarazioni e critiche molto riprese, in cui definiva Twitter una «piattaforma per la libera espressione in tutto il pianeta» che non viene sfruttata come potrebbe per colpa di chi la amministra.
Lo scenario di un miliardario (anzi, di quel miliardario) a capo del popolare social network ha attirato una serie di reazioni sdegnate, spesso più che vagamente somiglianti a ciò che ai tempi delle vittorie dei partiti di Silvio Berlusconi alle elezioni si condensava in un succinto “basta, emigro!”. Curiosamente, all’idea di un Musk-Twitter tanti sia a destra che a sinistra hanno tracciato paralleli storici consonanti nel loro presagire sventura.
Tra i commenti più condivisi sull’Opa ostile muskiana, però, vale la pena di parlare di quello postato sotto forma di thread – un thread più lungo di una quaresima, a dirla tutta: ma sono qui apposta – da Yishan Wong, Ceo di Reddit tra il 2012 e il 2014, che si è permesso di dare un consiglio non richiesto al noto collega, e soprattutto nel mentre ci ha spiegato cosa c'è davvero in ballo in questa vicenda, e perché è importante parlarne (grazie a Marco E., la prima persona che mi ha segnalato l’intervento).
Il consiglio di Wong, riassunto, è: scappa, Elon.
Ma nell’articolarlo, l’ex Ceo pone una serie di questioni molto rilevanti e al centro della nostra attualità culturale. Prima fra tutte: Elon Musk è nato nel 1971 e ha vissuto un’internet diversa, quella a cavallo fra gli anni Novanta e la prima metà del Duemila, che era radicalmente diversa dalla rete a cui siamo abituati oggi.
In quell’estate di San Martino del genere umano, spiega l’ex dominus di Reddit, sostenere la libertà di espressione significava essenzialmente opporsi alle tentate censure dei conservatori puritani:
Le persone principalmente interessate alla censura erano i conservatori religiosi. In buona sostanza, voleva dire che cercavano di vietare il porno (o altre immaginarie degenerazioni morali) su internet.
Quando il potente Elon Musk fa proclami seriali in favore del free speech, insomma, ha in mente una versione primigenia e tenacemente ottimistica del web, un esperimento collaborativo abitato da pionieri che combattono per la libertà, la trasparenza e l’avvento di un Nuovo Mondo improntato all’uguaglianza e al progresso. Perché questo doveva essere il web, quantomeno nelle intenzioni dei teorici più illuminati della generazione del fondatore di Tesla.
Beh, ovviamente le cose sono andate un po’ diversamente: non solo la nuova età dell’oro pare lontana dal fare la sua fatale comparsa, ma i social network oggi sono anzitutto pentole in ebollizione di odio, polarizzazione, disinformazione, molestie e tutto quel che sai. Hanno dato il loro contributo a portare Donald Trump alla Casa Bianca, tra le altre note malefatte, e reso la vera conversazione una chimera sempre più irrealizzabile.
Ma queste cose le conosciamo tutti, no? Beh, tutti tranne Elon Musk. Lui, dice Yishan Wong, negli ultimi decenni è stato troppo preso a fare cosette come costruire supercar elettriche e disegnare razzi per raggiungere Marte. Il risultato è che internet, per l’uomo più ricco del mondo – e colui che si appresta ad appropriarsi di una sua parte piccola ma significativa – è fermo grosso modo al 2005.
Wong non è l’unico a pensarla così: il popolare tech blogger Mike Masnick ha dedicato un fondamentale articolo alla strategia per il rilancio di Twitter delineata da Musk nelle sue uscite recenti. Masnick si occupa di moderazione dei contenuti sulle piattaforme dagli albori dei social network, e osserva tra il divertito e il preoccupato come il fondatore di Tesla e SpaceX sia rimasto indietro di quindici anni nel dibattito su questi temi. L’idea di limitare al minimo la rimozione dei contenuti e il ban dei profili è infatti l’idea originaria dei pionieri idealisti e un po’ naif della Silicon Valley, non la svolta a cui nessuno aveva mai pensato prima di cui parla Musk.
La questione, in essenza, è che avere a che fare con la natura e la comunicazione umane è molto, molto, molto più complesso che insegnare a un’auto a guidarsi da sola. E non esiste una soluzione perfetta. Non esiste nessun momento ”congratulazioni, siamo arrivati” nella moderazione dei contenuti. Perché gli esseri umani sono complessi e in continua evoluzione. E la moderazione dei contenuti su una piattaforma come Twitter consiste nel riconoscere quella complessità e nel trovare modi per affrontarla.
Nel suo interessante thread, inoltre, Yishan Wong sostiene che schierarsi a difesa della “libertà di espressione” oggi significa schierarsi contro tutti: la destra reazionaria o libertaria è convinta che i social network abbiano un’agenda iperprogressista, se non direttamente woke, e coltivano il frustrante sospetto di trovarsi a giocare un gioco dalle regole falsate; specularmente, la sinistra woke è certa che al timone delle piattaforme ci sia il caro vecchio potere maschio, bianco e cisgender, e si è convinta che Twitter e Facebook privilegino volutamente i contenuti conservatori.
Secondo Wong, hanno torto entrambe: quel che succede, di volta in volta, è che le regole di moderazione più recenti, pur discusse e soppesate all’interno dei behemoth del web, si rivelano inadatte a regolare una cosa imprevendibile come il comportamento umano, specie in un contesto in cui dare il peggio di sé non costa letteralmente niente. Ogni volta che qualcuno in California pensa di aver trovato La Soluzione contro gli abusi e l’odio online, la realtà lo smentisce. L’ideale per i tech giant della Silicon Valley, secondo l’ex capo di Reddit, sarebbe che facessimo tutti i buoni, insomma. Ma c'è un but:
La rimozione (in certi casi: censura) dei contenuti è un argomento difficile da incasellare in modo univoco e pressapochista, che per uno strano contrappasso è esattamente ciò che le piattaforme che se ne occupano ci hanno più e meno consapevolmente abituato a fare. I silenziati si sentiranno sempre vittima di un complotto ai loro danni; i silenziatori finiranno per sbattere inevitabilmente il muso contro la non-applicabilità del nobile principio del “tutti devono potersi esprimere”.
Come sempre – e come ammette fra le righe anche lo stesso Wong, pur senza enfasi: ed è comprensibile – il primo problema risiede nella difficoltà (o direttamente nell’impossibilità) di una comunicazione globale che è stata appaltata a piattaforme incapaci di proporre una sintesi accettabile di un mondo ancora ferocemente diviso da differenze legali e culturali, di prospettive e di contesti, di abitudini e di valori etici.
A volerla dire così, l’internet sognato dalla generazione di Elon Musk si è rivelato una sorta di miraggio adolescenziale durato vent’anni. Ma il sogno è finito da un pezzo. E se l’uomo più ricco del mondo dovesse proseguire cocciutamente col suo disegno di ritorno a uno stato di natura mai davvero esistito, prepariamoci a vedere un ex sogno trasformarsi in un incubo.
Altre news dal fronte
- Nel Twitter anglofono c’è grande, grande, grande maretta intorno alla vicenda di Libs of TikTok, un account che condivide regolarmente video di “social justice warriors” (leggi: persone che a vario titolo fanno attivismo a sinistra o si occupano di temi “di sinistra”) da esporre al ludibrio e all’indignazione dei suoi centinaia di migliaia di follower. Spesso i documenti mostrano maestri di scuola che trattano temi Lgbt in classe, e l’attività di propaganda dell’account, che ha solo un anno di vita, l’ha già reso una fonte primaria del circo mediatico della destra americana. Taylor Lorenz, reporter del Washington Post (e a sua volta una social justice warrior) ha dedicato una piccola inchiesta alla scoperta dell‘identità che si cela dietro il profilo anonimo (una donna di Brooklyn), e quest’ultimo lamentando un presunto doxxing ha chiamato a raccolta il suo enorme e incazzato seguito, che ha preso di mira Lorenz per giorni interi. Intanto, tra un video e l’altro (e diversi sono oggettivamente discutibili, va detto), Libs of TikTok attinge a piene mani dal peggior repertorio dello squadrone d’assalto: innocui singoli individui esposti alla gogna della viralità, accuse diffamanti a individui o enti impegnati in cause “inclusive”, talvolta persino insulti omofobi. Su questo specifico tema torneremo meglio, perché è uno dei fronti principali delle guerre culturali statunitensi;
- Il tweet qui sotto invece non te lo spiego perché, come tutte le cose altamente simboliche e rivelatorie, merita il tuo approfondimento e la tua scoperta (però dai, volendo cos’è un land acknowledgment te lo spiega lui):
- Il romanzo gore di una popolare Tiktoker, uscito con una lunga lista di trigger warning sui suoi contenuti, è finito sulla graticola dei cosiddetti call-out sui social (sì, poi la smetto con gli anglismi, scusa) perché non ne ha messi abbastanza e perché ha immaginato un personaggio transgender rappresentato in modo offensivo. Che in un libro che dichiara di trattare temi quali «decapitazioni, violenza gratuita, misoginia, abusi su minori, razzismo, oppressione femminile» era un rischio, diciamo.