Te lo dico nella maniera più spassionata: ho scritto un saggio ispirato da questa newsletter, lo pubblica Einaudi ed è uscito il 2 maggio. Si intitola La correzione del mondo, come – in parte – questa newsletter, e non potrei essere più contento.
La sua sinossi recita:
Dalle statue rimosse a orde di utenti incattiviti che si segnalano su Twitter, fino alle infinite suddivisioni identitarie: La correzione del mondo si districa tra le esagerazioni, le minimizzazioni e la propaganda che inquinano il dibattito sul tema del politicamente corretto. Mentre i reazionari soffiano sul fuoco del complottismo vittimista che rende tutto un attacco al loro stile di vita, i romanzi di Roald Dahl vengono corretti prima di essere ripubblicati, un videogioco di Harry Potter è accusato di danneggiare un'intera «comunità di esseri umani» e i cartoni animati della nostra infanzia sono tacciati di «cultura dello stupro». Perché all'improvviso siamo diventati sensibili a certi temi? E perché la dimensione politica è stata soppiantata da divisioni settarie, rituali di espiazione e gare per diventare portavoce online di istanze appiattite? Andando oltre i consueti mantra distorsivi – da «dittatura del politicamente corretto» a «cancel culture» – Davide Piacenza risponde con esempi e testimonianze alle domande che monopolizzano le nostre polemiche quotidiane.
Le sinossi dei libri editi dai grandi editori sono cose in cui entrano anche complesse valutazioni di marketing, dovuti inserimenti di parole chiave e divinazioni di interiora di uccelli, per cui non ti stupire se nel testo troverai poche statue rimosse ma molte considerazioni su come la dittatura dell’algoritmo – l’unica realmente esistente, ma una di cui non si lamenta quasi nessuno – ha reso il nostro mondo una Babele borgesiana, nonché il terreno di coltura perfetto per finti dibattiti strumentalizzati dalla propaganda e drogati dai like.
La correzione del mondo è un libro composto delle parole di grandi autori (lo stesso Jorge Luis Borges, H. P. Lovecraft, Chimamanda Ngozi Adichie, tra gli altri), sociologhe dei media transgender, sopravvissute all’Olocausto, filosofi nigeriani, storiche afroamericane, volontari milanesi per la prima assistenza dei migranti, ex spacciatori, neonazisti diventati attivisti antiviolenza, comiche famosissime e sconosciuti tecnici delle riparazioni californiani.
Scriverlo è stato un privilegio. Quando, un anno fa, sono stato contattato da Einaudi Stile Libero, Culture Wars aveva ancora poche centinaia di iscritti ed era il progetto part-time appena avviato di un freelance in bolletta. Vederla diventare un saggio che popolerà gli scaffali delle librerie di tutto il Paese è un traguardo insperato, ma mi piace pensare che sia anche il riconoscimento dell’intuizione da cui è nata, e dell’approccio laico, ragionevole e aperto con cui ho cercato di svilupparla.
Di libri sul tema ce ne sono già a iosa, non posso certo negarlo. Ma in Italia ricadono quasi tutti in due macro-insiemi: o il tomo «sulla cancel culture» che passa in rassegna con studio certosino i casi di cancellazioni vere o presunte, perdendo di vista la proverbiale bigger picture, oppure tesauri pseudo-didattici e sbadigliogeni di «nuovo linguaggio» che parlano ai convertiti (e non di rado sfruttano la grancassa socialmediale di un autore influencer la cui prima preoccupazione è il personal branding).
Mancava una critica precisa, aperta e progressista dell’unica dittatura strisciante che esiste davvero e non causa levate di scudi: quella dell’algoritmo made in Silicon Valley, quella per cui di «inclusione» e «oppressione» si discute solo nei limiti claustrofobici concessi dai reparti di user growth di multinazionali alla ricerca disperata di profitto. Quella che sta drogando e mettendo a repentaglio ogni senso percorribile di «società», e rendendo il dibattito pubblico una mitraglia impazzita di «al lupo, al lupo» strumentali conservatori e ridimensionamenti pavloviani od ottusità arriviste progressisti.
Io ho provato a colmare la lacuna: a te giudicare se ci sono riuscito.
La correzione del mondo è uscito il 2 maggio, e puoi comprarlo, oltre che in libreria, sui principali store:
➔ Ibs
➔ Amazon
➔ Mondadori Store
➔ Libreria Universitaria
Altre news dal fronte
- Ma torniamo su quella cloaca infame di Twitter, e osserviamo sbigottiti la mole di reazioni generate da questo tweet che annuncia la puntata su Cleopatra di una nuova docu-serie Netflix. Ora: Netflix è una multinazionale ricchissima e paraculissima che con profili come «Strong Black Lead» tenta di comprarsi un posto in paradiso, e sarà pur vero – come sostiene l’esperta egiziana Nervana Mahmoud – che rappresentare la regina nera è «revisionismo americano», ma non riesco proprio a imbufalirmi per l’inesattezza. Ok, Cleopatra forse non era davvero nera: e sticazzi, dai;
- Anche noi, nel nostro piccolo: internet è tutto sommato un bel posto anche perché puoi trovare una disamina molto puntuale della svolta culture wars (leggi: caciara, simboli e distrazione) del governo Meloni in inglese su Reuters;
- Ma è un bel posto, internet, anche perché è possibile pescarci la storia di come da St. Louis, Missouri, si è diffuso a tutti gli Stati Uniti un insensato boicottaggio di destra alla celebre birra Bud Light.
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