I docenti del distretto scolastico di Manatee, una contea sita al centro della Florida che ha poco meno di mezzo milione di abitanti, hanno dovuto chiudere le biblioteche delle loro scuole agli studenti finché ogni singolo libro sugli scaffali non sarà sottoposto a un processo di revisione certosino, per non rischiare un’indagine penale a loro carico.
Questo succede perché nello Stato di Miami, il terzo più popoloso d’America, il governatore Ronald Dion DeSantis – il politico 44enne che verosimilmente sfiderà Trump alle prossime primarie del Partito repubblicano per la Casa Bianca, con più di qualche possibilità di vittoria – ha stabilito i confini di quel che è lecito leggere a scuola.
L’insieme di direttive, approvato l’anno scorso e poi parzialmente bloccato da due pronunciamenti del giudice distrettuale Mark Walker (che l’ha definito «decisamente distopico»), si chiama Stop WOKE (acronimo di «Wrongs to Our Kids and Employees») Act, ed è essenzialmente la piattaforma con cui Ron DeSantis si candida ad assumere il ruolo di guida politica dei Repubblicani.
Cosa contiene la legge? Ufficialmente è un insieme di norme che proibiscono alle scuole di insegnare corsi e dottrine antirazzisti o di critica sociale che portino gruppi di studenti a provare «senso di colpa, angoscia o qualsiasi forma di disagio psicologico» per via della loro etnia o genere di appartenenza, nonché a proibire l’«istruzione sessuale» ai bambini più piccoli, che la propaganda di destra dipinge da tempo come vittime di un mai verificato grooming (adescamento) di provenienza sinistrorsa.
Nei fatti, però, DeSantis non ha fatto mistero fin dall’inizio di considerarla il suo guanto di sfida personale a ciò che definisce «indottrinamento woke»: dalla critical race theory – il complesso e multiforme apparato di studi postmoderni che analizzano con lenti rinnovate e spesso ipermilitanti il razzismo «sistemico» in ogni anfratto della società, ai corsi di diversità e inclusione, fino ai testi scolastici con echi anche lontani di contenuti Lgbt+.
Non è la prima volta che i libri e l’istruzione finiscono al centro delle schermaglie politiche e culturali tra fronti contrapposti: accade almeno fin dagli anni Settanta, quando la destra evangelica iniziò a organizzare la sua resistenza reazionaria contro l’ingresso nelle scuole di testi di impatto sociale, come l’autobiografia di Malcom X, unendosi in una saldatura politica con la destra americana che dura a tutt’oggi.
Ma DeSantis ha elevato il livello dello scontro, e in modo molto irresponsabile. Viste le maglie sapientemente larghe del suo Stop Woke Act, qualsiasi lettura che non coincide con l’idea repubblicana di «istruzione» può essere – ed è già – sottoposta a censura, sostituendo al delicato (e regolamentato) rapporto tra docente e alunno la scure autoritaria dello Stato: da una biblioteca della Florida è stato rimosso in fretta e furia And Tango Makes Three, un libro illustrato per bambini ispirato alla storia vera di due pinguini maschi che hanno nidificato insieme allo zoo di Central Park, per capirci.
I veri bersagli del fervore legislativo di DeSantis appaiono poco chiari: lui stesso li ha indicati alternativamente in quegli insegnamenti che fanno sentire gli studenti «personalmente responsabili» di misfatti storici compiuti da persone della loro stessa etnia o nazionalità, ma anche in chi utilizza i soldi delle tasse della Florida per «insegnare ai ragazzi a odiare il nostro Paese e a odiarsi l’un l’altro»; eppure si è scagliato anche contro programmi di studio che chiamano in causa alcune bandiere dell’attivismo antirazzista, e ha chiesto alle università pubbliche di fornirgli i dati relativi a numero ed età dei loro studenti transgender.
Quando non litiga con Disneyland, Ron DeSantis accumula capitale politico sfruttando nel modo più subdolo le faglie degli scontri culturali in atto in quest’epoca. Lo fa addirittura meglio – e, quel che è peggio, con più costanza e metodicità – del suo sfidante alle primarie repubblicane, Donald J. Trump, di cui potrebbe rivelarsi una versione machiavellica e sotto steroidi.
Da una parte per il governatore della Florida vale un discorso che si può applicare, con le dovute differenziazioni, anche a Elon Musk e i suoi sostenitori: attenzione a chi si presenta come l’eroe del buonsenso da opporre alla follia prescrittiva di una wokeness indistinta, specie se a questi proclami roboanti seguono carriere politiche e propagande manichee con scarso gusto per il distinguo. L’«indottrinamento» di cui parla DeSantis, se esiste, è radicalmente diverso di quello che ha trasposto nella sua legge liberticida: sì, alcune parti dell’attivismo e dell’accademia abbracciano forme assai ottuse e controproducenti di theory in cui tutte le vacche sono nere (e quelle bianche quasi sempre suprematiste), ma un’istituzione che le censura stilando liste orwelliane di temi proibiti commette un atto indiscutibilmente, esponenzialmente peggiore.
Dall’altra parte, il columnist del New York Times Jamelle Bouie è convinto che la sinistra americana debba evitare di cercare di battere il nuovo Trump sul suo terreno:
Il modo migliore per neutralizzare DeSantis come forza politica potrebbe essere dedicare meno tempo al conflitto culturale e più tempo a sostenere chiaramente che, se gli fosse data la possibilità, taglierebbe ciò che resta della rete di sicurezza e utilizzerebbe i proventi per aiutare i ricchi a rimanere ricchi.
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