A Natale non rieducare la nonna 🎄


È tutto pronto: ci sono i bicchieri delle occasioni speciali, i tovaglioli rossi un po’ kitsch, quello zio taciturno che non vedi da due anni perché alla scorsa tornata aveva l’influenza e qualche stuzzichino già pronto sulla tavola.

È Natale, e a Natale puoi, recita il celebre adagio pubblicitario. Eppure durante le Feste, quando ci si ritrova fianco a fianco con mamme, papà, fratelli, sorelle, nonni e zii, ci sono anche alcuni “non puoi”: c’è chi “non può” parlare di politica, chi preferirebbe evitare di toccare l’argomento figli, quelli che non si vorrebbero mai trovare a dover spiegare che lavoro fanno, quegli altri – i meno fortunati – a cui capita persino di dover giustificare scelte di vita e relazioni amorose.

La conosci, quella delle famiglie felici che si somigliano tutte, e delle infelici ognuna a modo suo, no? Sì, perché è famosa in quanto scritta da Tolstoj e in quanto molto azzeccata: le Feste per tanti e tante sono una piccola prigione che dura qualche giorno di fastidio e indigestione, ma nei casi peggiori addirittura di abuso o confronto con realtà di provenienza disgraziate.

Da qualche tempo però quello dei pranzi e delle cene coi parenti è diventato un topos socialmediale a sé stante: prova a fermarti a contare quanti post hai letto in questi giorni sul dover condividere un capitone con uno zio che ha votato Meloni, o sul trovarsi ad affrontare un cotechino con lenticchie davanti a un cugino indiscreto che ti chiede quando farai finalmente un figlio. Quanti sono? Inizio a rispondere io: tantissimi.

Come detto, di prevaricazioni sulle tavole natalizie ne avvengono per davvero. Ma salvo casi particolari e più che spiacevoli, di norma si tratta di sedersi su una sedia e mangiare, magari chiudendo un orecchio di fronte a qualche sciocchezza legata a opinioni molto discutibili e già note del parentado. Eppure a leggere Twitter e Instagram, ormai, sembra che tornare a casa per Natale equivalga a partire per combattere la più terribile delle guerre.

Mi ha colpito un post della newsletter femminista thePeriod che rilancia un gioco inventato dalla suddetta, di per sé anche simpatico: si ottengono punti «affrontando argomenti scomodi (e femministi) con amici e parenti durante le feste». E dunque, tra le altre regole di ingaggio:

Ora: per carità, se vuoi sfidare a duello tua madre sui peli ascellari o far venire un infarto a tua nonna to make a statement, io non sono nessuno per farti cambiare idea. Però due cose mi sento di dirtele, e riguardano un approccio diventato riconoscibile: questa discreta tracotanza che vuole piegare con pervicacia ossessiva ogni anfratto del reale alla sua prospettiva elevata, superiore, inattaccabile.

Per cominciare, che tristezza questa grandinata di post pre-natalizi scritti dalla prospettiva dell’eroe che torna al paesello o alla casa genitoriale una volta l’anno in visita evangelica. Che tristezza presentarsi non come il figlio o il nipote da sempre benvoluto e sostenuto che – quando possibile – chiude un occhio di fronte ai difetti e agli anacronismi di ognuno, ma come il missionario mandato dal dio del Giusto per educare dei selvaggi e accompagnarli a una sommaria espiazione dei peccati.

Non è sempre così, ma in tanti casi assai comuni quei «selvaggi» hanno a loro volta tollerato le mancanze e i difetti del rivoluzionario ora inorridito dal dover condividere un’insalatina di rinforzo col loro oscurantismo retrogrado, svezzandolo amorevolmente, e magari gli pagano ancora l’affitto del bilocale a Milano.

Se sedendoti accanto alla cara e mite nonnina che ti ha cresciuto e hai visto l’ultima volta dodici mesi prima riesci soltanto a pensare: «Adesso ti faccio vedere io come si sta a tavola, maledetta Terf!», beh, davvero, cerca aiuto. O quantomeno getta lo smartphone nel primo cassonetto che trovi: perché avrai anche una parte di ragione, ma per la parte restante sei terribilmente fuori strada.

Un punto molto importante è che di quel che pensa tua nonna dei peli ascellari e di motti dell’attivismo online come «trans women are women» dovrebbe importarti il giusto. E non perché tua nonna meriti uno speciale salvacondotto morale, ma perché il mondo in cui vivi lo stai costruendo tu (come lei, a suo tempo, ha costruito il suo).

Se credi di poterne generare uno migliore atteggiandoti a inflessibile sacerdote moralizzatore che lascia da parte l’insalata russa per inchiodare il settantaseienne zio Franco alle sue mancanze, insomma, sai come si dice in questo periodo: tanti auguri!

Altre news dal fronte

  • In che senso, scusa? Cosa sarebbe un «woke Santa»?
  • In due parole, perché penso che questa sia un’opinione fuorviante, spiegato come lo spiegherei a una persona cara: la «minaccia alla correttezza del dibattito pubblico sui social» sono i social stessi, anzitutto (i motivi li hanno ripetuti fior fior di penne, ma la mia preferita è sempre quella di Jaron Lanier nel suo Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social, Il Saggiatore). E poi, a meno di non essere davvero dalla parte di Elon Musk – «parte» che è l’estrema destra, per quanto mi riguarda – in relazione a questi discorsi non si parla affatto di «studenti e persone trans», ma di loro portavoce (spesso autonominati) che orientano il dibattito nella direzione più forzata ed estremizzata, con l’imprescindibile aiuto di algoritmi ed echo chamber ad astrarre progressivamente dalla realtà. Non vi è dubbio che Elon Musk in sé sia un problema infinitamente peggiore di tizi ottusi che vivono troppo su Twitter, ma come sempre i problemi non sono mutualmente esclusivi, e inquadrarli solo in questa prospettiva varrà pure qualche like, ma alla fine della fiera rimane un mezzuccio strumentale e adatto al medium che lo ospita.

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