Cancellazioni da cortile


Anche in Italia sta girando molto, e giustamente, una lista di termini ed espressioni che l’amministrazione Trump ha «limitato o proibito» in ogni angolo del gargantuesco apparato del governo federale statunitense, riportate da un articolo del New York Times.

È soltanto una minima parte delle coltellate epocali che il duo Trump/Musk sta inferendo con la ferocia di un folle nel ventre molle d’America (ha criminalizzato la sola esistenza delle persone transgender, lasciato a casa controllori di volo, distributori di vaccini contro l’HIV in Africa, garanti dei diritti dei consumatori; ha congelato fondi per la sanità e gli enti di ricerca oncologica; si è messo a perseguitare con ordini esecutivi innocui avversari pubblici e privati) ma è una che si presta alla condivisione istantanea sui social.

Tra le parole proibite ci sono «donne», «minoranza», «identità di genere», «crisi climatica» e persino – la svolta comico-grottesca – «golfo del Messico», che il bimbo ha ribattezzato unilateralmente con un nome più autarchico.

La tentazione di dire «avevo ragione io» è sempre fortissima, specie di fronte a piccole scariche di dopamina formato cuore, ma mi chiedo a cosa serva, oggi.

Benché la scala di questo attacco alle libertà civili sia davvero senza precedenti, nulla di quanto sta succedendo è mai stato imprevedibile nella sostanza: la destra trumpiana è liberticida fin dalla sua nascita, fin dalla scala mobile della Trump Tower, e non conosce altro linguaggio che la legge del più forte (talvolta mascherata dalla retorica business-macho del «deal»).

L’ho scritto nel libro pubblicato all’inizio del 2023 che non citerò per minimo senso del pudore, ma non ci voleva chissà quale dote da medium: i Repubblicani americani con una mano postavano il loro attacco alla «cancel culture» dei Democratici, e con l’altra continuavano amabilmente a censurare chiunque avesse un’opinione a loro sgradita – che si trattasse di libri scolastici, drag queen o studenti universitari.

A fronte di tutto questo, tuttavia, questi figuri hanno vinto le elezioni scommettendo metà delle loro fiches su questi temi – gli spot «Kamala is for they/them, Trump is for you», il continuo cannoneggiamento sulla DEI, gli attacchi sulla «libertà di espressione» – e finendo ampiamente ripagati.

Segno che su questi versanti c'era un tremendo (fammelo ripetere: tremendo) bisogno di un discorso capace di disinnescare quella retorica, e di spiegare alla gente come stavano le cose.

E quindi: che non è vero che «non si può più dire niente» – anzi, non si ricorda un’altra epoca in cui si è potuto dire così tutto; che quella che gli hanno presentato di fronte agli occhi come l’Apocalisse è stata una deriva di nicchie online iper-rappresentate per un certo periodo, nonché coccolate da aziende in cerca di rainbow washing, multinazionali delle piattaforme in cerca di profitti semplici e reti di privati cittadini di ceto elitario e orientamento liberal in cerca di personal marketing.

E, soprattutto, c’era bisogno di un discorso che spiegasse che la sinistra continua a essere altro, che ha altro da dire e altri piani su cui considerare e rappresentare le persone e le loro istanze.

Eppure quel discorso non è stato articolato, o non abbastanza.

In Italia, per quanto mi riguarda, l’ho visto sostenere con regolarità e coerenza solo da autori come Mimmo Cangiano, Elisa Cuter, Raffaele Alberto Ventura e pochissimi altri.

È per questo che ora mi affligge leggere intere legioni di ripicche piccine, di colpetti di gomito, di «avevo ragione io» che si limitano a chiedere simbolicamente la testa dell’avversario algoritmico, che di fatto vogliono solo fargli le boccacce: non soltanto perché di fronte a una catastrofe dei puntini sulle i ci dovrebbe importare il giusto, ma perché sono puntini sulle i del tutto arbitrari e personalistici, che guardano alla cultura politica come a uno scambio tennistico tra due fronti contrapposti che segnano punti a seconda di dove finisce l’ultimo servizio.

È esattamente, tragicamente una parte essenziale di ciò che ci ha fatto fare un passo oltre il precipizio: il ridurre qualsiasi fatto reale a un «noi» e «loro» non reale – e ce ne sarebbero, di reale – ma restituito dal gioco di specchi degli algoritmi. Il reagire istantaneamente lungo quella direttrice arida e schiacciata del “commento social”, che impegna poco e soddisfa molto. Il rifiuto, anzi l’incapacità di pensare oltre, in modo organico.

Non è Trump, ma è quello che Trump ha sfruttato per tornare in cabina di regia e proibire a milioni di persone di scrivere «donna».

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