Bluesky from pain


Nelle ultime settimane si è fatto un gran parlare di Bluesky, l’ultima – in ordine cronologico – azienda a conquistare titoli di giornali e discussioni online sullo stato e le prospettive delle piattaforme socialmediali.

Dalla vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali statunitensi, milioni di utenti scontenti dell’oggettiva tossicità del fu Twitter hanno cancellato i loro profili dalla piattaforma – oggi nota come X – per migrare su Bluesky, che è arrivato a contare più di 24 milioni di iscritti.

Un bel risultato per un progetto nato in seno a Twitter e che fino allo scorso febbraio era rimasto una piattaforma chiusa con tre milioni di utenti, a cui si poteva accedere soltanto tramite invito. E, senza dubbio, anche un’iniezione di speranza per molti che erano in cerca di una nuova esperienza online.

Bluesky vanta un sistema che chiama di feed personalizzati, cioè costruiti con algoritmi su cui l’utente ha più voce in capitolo: invece di fare da spettatore passivo alla sua timeline, l’iscritto/a può intervenire privilegiando contenuti a lui o lei più congeniali. Se a questo aggiungiamo la possibilità di affidare i propri dati a federated servers (server personali, su cui si ha un controllo diretto), quella di creare le proprie liste di moderazione e l’assenza di fastidiose inserzioni e crypto-truffatori, ecco che in effetti il modello appare alternativo.

Per questi e altri motivi, nelle ultime settimane si sono lette odi sperticate alla piattaforma, vista come un vero viatico per il ritorno a un’età dell’oro dei social media, priva di tossicità e bot e basata sulle interazioni positive, sugli scambi di conoscenza e sul rispetto reciproco.

Bluesky vuole posizionarsi come antidoto al veleno dell’intolleranza regolarmente amplificata dalla grancassa di X ed Elon Musk, offrendo un social “dal volto umano” dove abbondano le regole di netiquette – tra le altre, c’è quella di evitare il dunking, cioè la condivisione a fini critici di post altrui ritenuti offensivi o sbagliati – e la moderazione dei contenuti è una cosa seria, costantemente discussa e monitorata.

Ma Bluesky è anche un’app giovanissima, che si è vista travolgere da una piena di utenza appartenente a nicchie online svezzate da certe formae mentis (ora mi spiego meglio) quando il suo team contava venti persone in tutto. E oggi si trova a dover tappare falle nuove e inevitabili: invasioni di account finti, rivolte contro le scelte di moderazione e contro gli scraping di dati per addestrare intelligenze artificiali.

Sul piano delle idee o dei posizionamenti politici, Bluesky è decisamente omogeneo. Non farmi usare la parola woke, ti prego, ma ecco: è il posto dove sono approdati quelli che sono scappati da Twitter dopo la vittoria di Trump (che si chiamano l’un l’altro, con apparente assenza di ironia, Twitter refugees). Ci troverai starter pack fatti apposta per VTuber asessuali e aromantici, o liste di ban che includono tutti i follower di un determinato account considerato “problematico”.

Negli ultimi giorni, per esempio – nonostante le interazioni dal volto umano, i blocchi di massa dei profili non conformi, gli inviti a non dare spago alla problematicità – il responsabile della sezione Trust & Safety di Bluesky Aaron Rodericks è inondato di critiche e accuse di vario tenore (le risposte a qualsiasi suo post sono eloquenti) semplicemente per aver permesso, pur con una sequela di etichette e trigger warning, la presenza sulla piattaforma di Jesse Singal.

Singal è un noto giornalista e podcaster che collabora con l’Economist e The Atlantic, forse il nome più inviso agli attivisti transgender statunitensi per i suoi pezzi d’inchiesta sulle cure per la transizione di genere nei minori, che secondo i suoi critici diffondono propaganda anti-trans. Su Twitter, non era raro trovare sottoboschi in cui si invitava Singal a farla finita; su Bluesky, dopo pochi giorni dal suo arrivo, sono già ricresciuti (insieme a quelli dove gli si dà direttamente del pedofilo).

Certo, certo: non si può essere sempre tolleranti con chi si giudica intollerante, ma il punto è che al netto del caso specifico tutto questo non mi sembra, come dire, diversissimo da ciò a cui siamo abituati in altri spazi digitali. Il mio Bluesky, per quel poco che l’ho frequentato in queste settimane, si è dimostrato una sfilza senza fine di post polemici, performativi e passivo-aggressivi del genere:

Audiobooks count as reading. Audiobooks count as reading. Audiobooks count as reading. Audiobooks count as reading. Audiobooks count as reading. Audiobooks count as reading. Audiobooks count as reading.

Being Reese (@beingreese.bsky.social) 2024-11-22T12:35:08.819Z

Ecco: al di là della sua forse ancora paradisiaca perché microscopica nicchia italiana, che conduce a entusiasmi fin troppo facili, non mi pare che, nei fatti, le pur nobili intenzioni di Bluesky si stiano traducendo in un Eden di fraternità. E, soprattutto – fatto per me doloroso – sulla piattaforma vige un’incredibile mancanza di autoironia; ci si prende sempre e comunque terribilmente sul serio, appunto, anche sugli audiolibri. Ha ben scritto la columnist del Globe and Mail Phoebe Maltz Bovy:

Ciò che manca a Bluesky non sono solo i nazisti, ma è anche il centro-sinistra, ciò che è inclassificabile e ogni tipo di sarcasmo non accompagnato da virtuosi messaggi politici. Non ha umorismo irriverente, né mordente. L'uniformità politica genera mancanza di umorismo. Questo non perché i conservatori siano più divertenti dei progressisti (le battute anti-woke sono noiose quanto quelle woke), ma perché se tutti "camminano sulle uova", allora nessuno rischia cercando di far ridere gli altri.

Intendiamoci: X è una fogna terribile, allo stato attuale, e se le alternative sono – e così par essere – Elon Musk o il modello algoritmico centralizzato di TikTok, allora quantomeno Bluesky offre uno spiraglio diverso. Ma questa diversità va soppesata con attenzione, non eletta acriticamente a stato di natura ideale. Anzitutto perché conduce alla creazione di bolle polarizzate ancora più grandi.

Come ha notato, tra gli altri, Andrea Daniele Signorelli su Wired, questa frammentazione social in atto – il processo per cui la sinistra very much online si sposta su Bluesky e la destra si stanzia su X – rischia di «creare una filter bubble all’ennesima potenza, peggiorando ulteriormente quella polarizzazione e incapacità di comunicare con l’avversario politico a cui proprio i social avevano già contribuito».

Dalla polarizzazione socialmediale, in altre parole, stiamo passando alla polarizzazione degli stessi social media, che diventano essi stessi segni demarcatori di ulteriori divisioni e radicalizzazioni esponenziali. Come si fa ad avere scambi veri e propri – tralasciando quelli da libro Cuore di cui ho letto ultimamente – se avvengono soltanto con chi pensa e si esprime con precisione ormai millesimale come noi, in ambienti rigidamente «separati e sorvegliati» (cito ancora Signorelli) in cui la difformità di appartenenza più minuscola è guardata col sospetto feroce del gruppettaro?

E soprattutto: possibile che le uniche opzioni fra cui scegliere siano tutto questo, da una parte, o dall’altra l’oggettivo stato di degrado epistemologico (per usare un eufemismo) in cui versa X, che abbiamo deciso, non si sa quando, di lasciare a fascisti e crypto bros? Tertium non datur? Davvero non si può mettere in discussione non solo e non tanto la personalizzazione dell’algoritmo in uno spazio regolato dal numero di like e interazioni collettive, ma l’esistenza stessa di modelli comunicativi fondati su spazi di questo genere?

Se nel resto del mondo è ancora relativamente agli albori, in Italia purtroppo la discussione intorno ai limiti e alle responsabilità dei social media è ferma all’anno zero, ostaggio di un arsenale espressivo ridotto e di argomentazioni tra il ridicolo e il lunare tipo anche nell’Ottocento ce l’avevano coi romanzi: sono i soliti pregiudizi anti-tecnologici (avevo provato a rispondere ad alcune di queste fesserie qui), anche nel campo professionale di chi dovrebbe offrire visioni problematizzate, informate e critiche del mondo che ci circonda.

Quindi, quindi tu pensi di saper distinguere
Il paradiso dall’inferno
Cieli blu dal dolore?

Su Bluesky spero di sbagliarmi: magari sono davvero un critico letterario coevo di Émile Zola – e come tale disorientato dai brillanti accostamenti tra piattaforme globali private con miliardi di utenti che incidono, per costituzione, sulla psiche dei loro utilizzatori seriali e una copia sgualcita dei Promessi sposi – ma nel suo avvio vedo una strada lastricata di buone intenzioni, e ancora poco altro.

Altre news dal fronte

  • Va bene, tagliamo la testa al toro: Luigi Mangione, il protagonista del caso di cronaca del momento (nonché di tanti meme epocali che su Bluesky non troverai), è di sinistra o no?
  • I due fondatori del più grande sito di news a tema Lgbt+ del mondo, PinkNews, sono stati accusati di molestie sessuali ripetute e misoginia da dozzine di collaboratori della testata;

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