Cose dell’altro emisfero


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Talvolta mi è stato rinfacciato un dato di fatto tanto corretto quanto irredimibile: qui si parla troppo di Stati Uniti. Ed è vero! Ma sai, siamo tutti nipoti dello zio Sam: e poi vuoi mettere quanta materia prima approda ogni giorno sui nostri transatlantici digitali? Ecco.

Purtroppo e per fortuna però le guerre culturali – so che non devo rispiegare ogni volta l’espressione, ma nel dubbio: ciò su cui si scannano in modo più veemente i plagiati dai social media, siano essi ministri o titolari di mercerie – attecchiscono anche altrove. Pensa al posto più lontano che ti viene in mente: esatto, accade persino in Australia.

Antefatto: da maggio del 2022 in Australia è in carica uno dei rari governi laburisti della storia del Paese, guidato dal primo ministro Anthony Albanese, mentre la Coalition – l’unione dei partiti di centro-destra all’opposizione – nello stesso periodo ha nominato come suo nuovo leader Peter Dutton.

“Peter Dutton, per servirla”.

Ora, Dutton è un personaggino che merita due parole a parte: nel 2001, da neo eletto al parlamento australiano dopo una carriera nella polizia del Queensland, aveva usato il suo primo intervento in aula per rimarcare che nel suo precedente lavoro aveva «visto il comportamento disgustoso di persone che, francamente, giustificano appena la loro esistenza nella nostra società, a volte eccessivamente tollerante».

Ma questo è niente: ancora nel 2011 il buon Dutton parlava apertamente di «sporchi sinistri», e nel 2018, quando era già ministro dell’Immigrazione (che splendida idea!) solo le corti federali del Paese gli hanno ingiunto di permettere a bambini richiedenti asilo gravemente malati di curarsi in Australia, perché lui aveva fatto di tutto per impedirlo. Non basta? Che palato difficile: nel 2019, Dutton ha anche dichiarato con una certa nonchalance che le donne vittime di stupro che ricercano cure abortive in Australia in realtà si attardano in messinscene.

E insomma, questo rispettabile leader dell’opposizione e del conservatorismo liberale nelle ultime ore ha chiamato i suoi elettori al boicottaggio di Woolworths, una popolarissima catena di supermercati australiana che aveva appena reso pubblica la sua decisione di dismettere le sue forniture di oggettistica legata all’Australia Day, la festa nazionale celebrata il 26 gennaio che ricorda lo sbarco della First Fleet britannica nella baia di Sydney (correva l’anno 1788).

Woolworths ha dichiarato che la scelta ha avuto una motivazione duplice: la prima, e principale, è che semplicemente fra i suoi consumatori non c’è bastante domanda di questo tipo di merchandise. La seconda, connessa, riguarda una «discussione più ampia sul 26 gennaio e su cosa significa per le diverse parti della comunità»: da anni l’opinione pubblica australiana discute di come, per le popolazioni indigene, l’Australia Day sia conosciuto come Invasion Day o Survival Day, per sottolineare gli espropri di terre, le vessazioni e l’oppressione che il colonialismo britannico ha portato agli abitanti originari delle terre australi. Per questo motivo, oggi festeggiare il 26 gennaio non è più popolare come un tempo, specie fra i giovani.

A Peter Dutton la libera scelta di inventario di una catena privata, essendo lui un liberale vero, però non è piaciuta. Il leader della Coalition ha scritto su X che Woolworths ha scelto di «propagare l’agenda woke» e ha accusato la società di stare «provando a cancellare l‘Australia Day». Gli hanno fatto eco, a cascata, diversi membri del suo partito (Henry Pike ha parlato di «un altro patetico tentativo da parte delle grandi aziende di imporci la loro ideologia woke»), la grancassa di News Corp del connazionale Rupert Murdoch e un’infinità di pundit conservatori di ogni ordine e grado. Dutton ha rincarato la dose in un’intervista radiofonica:

Se [i clienti] non vogliono celebrare l’Australia Day, beh, la decisione spetta a loro, ed è per questo che credo che le persone dovrebbero boicottare Woolworths.

Ad aggiungere grottesco al grottesco, l’espressione idiomatica del pensare alle bandierine in questo caso diventa da intendere in senso letterale: Big W, un marchio del gruppo di Woolworths, continuerà a vendere le bandierine coi colori del vessillo nazionale per tutto l’anno, ha rassicurato un portavoce del marchio. Ma ormai, come si suol dire, i buoi erano scappati (e stavano già twittando).

In tutto questo, come spesso accade, i problemi veri – quelli da cui sarebbe bene non essere troppo distratti per opera dei Dutton di ogni latitudine – risiedono altrove, in una corsia diversa da quella dei cestoni con le bandierine di plastica prodotte in Cina: il governo laburista sta lavorando a una nuova legge sui prezzi al pubblico praticati dai supermercati australiani, che diverse associazioni dei consumatori giudicano ingiustamente alti, specie in un momento di inflazione in discesa.

Priorità agli antipodi, insomma, se mi concedi la battuta.

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