Ciao, sono Davide Piacenza e questa è la mia newsletter di cose culturali, algoritmi e conversazione globale Culture Wars, in una delle sue ultime uscite prima di un importante cambio di look e funzionalità.
Hai già capito di cosa parleremo questa settimana, ed è un tema che non si può definire meno che preoccupante. Mettiti comodo/a.
Ritorno al passato
L’hai letto grazie a un colossale scoop di Politico: la Corte suprema degli Stati Uniti d’America ha redatto una bozza di parere legale sul caso Dobbs v. Jackson Women's Health Organization, cioè il ricorso contro una legge del Mississipi del 2018 che proibisce l’aborto dopo le 15 settimane di gestazione.
Il documento è di importanza capitale perché mostra che la maggioranza repubblicana della Corte è pronta a ribaltare una sentenza storica che da cinquant’anni fa da architrave della società statunitense: la Roe v. Wade, che nel 1973 ha sancito che ogni donna americana ha il diritto costituzionalmente garantito a un trattamento di interruzione di gravidanza entro i primi tre mesi della gestazione.
Nel parere di maggioranza da lui firmato, il giudice nominato nel 2006 da George W. Bush, Samuel Alito, scrive che la decisione sulla Roe è stata «enormemente sbagliata fin dal principio. Il suo ragionamento è stato eccezionalmente debole, e il parere ha avuto conseguenze dannose».
La prima e incontrovertibile conseguenza di Roe v. Wade, tuttavia, è aver sancito il diritto all’aborto negli Stati Uniti. E tornare indietro ripudiando quella decisione – non è ancora detto che la Corte decida in tal senso, perché quella trapelata è una bozza, ma il rischio è concreto – avrebbe conseguenze deleterie sulla vita delle donne d’oltreoceano: significherebbe che la competenza sulla legislazione in materia tornerebbe ai singoli Stati, e larghe parti d’America (il Midwest, il Sud: in tutto 13 Stati, contando solo quelli che proibirebbero l’aborto immediatamente) sarebbero pronte a riportare l’orologio dei diritti femminili indietro di mezzo secolo.
«Ogni riga sembra uscita dal peggior incubo della generazione di mia madre», ha scritto sull’Atlantic Molly Jong-Fast, figlia della celebrata scrittrice femminista Erica Jong, notando come persino nei primi anni Settanta – quando una donna non poteva ottenere nemmeno una carta di credito senza il benestare del marito o del padre – la Roe era stata decisa da una maggioranza di sette giudici a due, con cinque Repubblicani che si erano schierati col fronte progressista. Cinquant’anni dopo, invece, i conservatori mirano a eliminarla.
Ogni conquista è fragile. Già nel 1989, quando la Corte suprema a maggioranza repubblicana sotto George H. W. Bush aveva discusso un caso che rischiava di ribaltare la storica sentenza di 16 anni prima, proprio Erica Jong scriveva:
Ora che la Corte ha accettato di discutere un attacco a Roe v. Wade, è dolorosamente evidente che due decenni di conquiste femministe possono essere spazzati via dal singolo gesto di una mano giudiziaria o presidenziale. Donne e uomini che pensavano che tutto questo fosse stato risolto molto tempo fa, che ingenuamente presumevano che i corpi delle donne non sarebbero mai più stati campi di battaglia politici, hanno dovuto svegliarsi e prenderne atto.
Senza contare che l’offensiva della destra verosimilmente non si fermerà qui. Come ha notato il costituzionalista Neal Katyal sul Washington Post, anche se Alito scrive nel parere legale che «la decisione riguarda il diritto costituzionale all'aborto e nessun altro diritto», la giurisprudenza è fatta apposta per applicare gli stessi principi a casi differenti. Il principio cardine della sentenza su Roe v. Wade era il diritto alla privacy, articolato per la prima volta da una sentenza risalente al 1965, la Griswold v. Connecticut, che invalidava una legge che aveva proibito la vendita di contraccettivi alle coppie sposate.
Il parere di Samuel Alito e colleghi che si legge nel documento fatto circolare in queste ore, secondo cui il diritto all’aborto non è esplicitamente presente nella Costituzione americana, né è «profondamente radicato nella storia e nelle tradizioni della Nazione», secondo Katyal continuerà a lungo a infestare la politica americana. La prossima vittima potrebbe essere proprio la Griswold, perché nella Carta costituzionale degli Stati Uniti non è menzionato nemmeno un diritto alla privacy, se è per questo: e se la Corte continuasse in questa direzione, diversi Stati americani si troverebbero a proibire la vendita di dispositivi contraccettivi dall’oggi al domani.
Lo stesso discorso vale per la Obergefell v. Hodges, il pronunciamento con cui nel 2015 la Corte suprema ha stabilito la legittimità del matrimonio fra persone dello stesso sesso. Scritta da un repubblicano, il giudice Anthony M. Kennedy, la sentenza del same sex marriage pesca dalla prospettiva universalista per stabilire che ogni americano ha il diritto a condurre una vita libera e costituzionalmente protetta nei suoi diritti, anche se – per tornare alla prospettiva di cui sopra – nel testo fondativo dell’ordinamento statunitense non si ravvisano espliciti riferimenti all’omosessualità. Il precedente di questi giorni potrebbe rendere aprire a nuove interpretazioni, e un overturn della Obergefell si tramuterebbe nell’immediata proibizione del matrimonio gay nella maggior parte degli Stati d’America.
A prescindere da come andrà (in caso di epilogo peggiore, cioè di conferma del parere della Corte, è verosimile che alle elezioni di Midterm di novembre i Democratici faranno incetta di voti, dato che meno di un terzo degli statunitensi è a favore del ritorno al pre-Roe, e il Congresso potrà far passare una legge sul diritto all’aborto), il fronte della guerra della destra trumpiana ai diritti acquisiti è aperto: le parole di Alito rimarranno per decenni la linea Maginot degli ultraconservatori alla ricerca di una linea d’attacco al moderno mondo progressista, e dopo le donne verosimilmente “verranno a prendere” tutti gli altri. Nel frattempo, come accade sempre, a farne le spese saranno le persone più povere e ostracizzate dalle comunità, le vittime di violenza (la legge del Mississipi su cui si deve pronunciare la Corte non prevede eccezioni per gli stupri) e di ricatto.
I diritti che davamo per scontati si sono rivelati fragili come uno stelo sottile esposto al vento. Mentre eravamo impegnati a occuparci di avveniristiche letture d’élite che orbitano attorno a noi e ai nostri punti di relativo privilegio e oppressione, qualcuno tramava nell’ombra – quando non direttamente alla luce del sole, accanto al biondo 45esimo presidente degli Stati Uniti – per riportare il mondo a ciò che era prima che intere generazioni dedicassero la vita a renderlo un posto appena più giusto.
Forse è il momento di lasciare per un attimo Twitter e tornare al loro esempio: di scontato, a quanto pare, non c’è nulla.
Altre news dal fronte
- Il New York Times ha intervistato Maia Kobabe, 33enne autrice del memoir Gender Queer, che parla della faticosa scoperta della sua identità non binaria ed è diventato il libro più censurato dell’anno nelle scuole degli Stati Uniti per via del suo contenuto: una storia Lgbt+. Come spesso accade, il Times si è preso anche una buona dose di critiche su Twitter: Kobabe si identifica coi pronomi neutri e, eir ed em, che in inglese americano non esistono (o almeno non ancora) e non sono dunque stati utilizzati dalla testata. I critici ci hanno visto una volontà di screditare Kobabe. Ognuno si faccia la sua idea in merito;
- Un traduttore o una traduttrice bianchi possono tradurre il testo di una poetessa nera? Un’artista bianca può raffigurare un ragazzo afroamericano vittima di violenza? Sono solo due esempi recenti di un dibattito infinito, che da anni monopolizza i discorsi intorno alla cultura e alla rappresentazione: se l’unico o il principale metro attorno a cui misuriamo un’espressione artistica diventa la lived experience, scrive Pamela Paul, ci arrendiamo a «una visione ristretta e avara dell'esperienza umana». È verissimo;
- Per gli amanti dei Celebrity Deathmatch, martedì 17 maggio alle 18.30 al Centro Brera di Milano (via Formentini 10) Guia Soncini presenta il suo nuovo libro L’economia del sé, edito da Marsilio, con Carlotta Vagnoli. Non so come finirà, ma in ogni caso quasi quasi ci vado.