Il Chomsky di Schrödinger


🗣️
Questa puntata di Culture Wars è gratuita e aperta a tutti. Se ti piace, considera di unirti agli abbonati: Scopri i piani membership.

Il 18 giugno, mentre la maggior parte delle testate online – italiane e non – titolavano con variazioni di “Chomsky è morto” ed era già partito il consueto cordoglio sui social media, il network latinoamericano TeleSUR English riportava per primo le parole di Valeria Wasserman, la moglie del linguista: Chomsky è in ospedale, ma è ancora vivo.

Prima della smentita, c’era stato un lungo silenzio da parte dei media: probabilmente stavano facendo le verifiche che non avevano fatto al momento di pubblicare la notizia della dipartita. Intanto su X, alcuni post di fonti allegavano screenshot di conversazioni dirette con Valeria Chomsky (come quello di Amauri Gonzo, giornalista del sito di news brasiliano Ponte Jornalismo). Il giorno successivo alcuni giornali, come Avvenire, si sono anche scusati per l’errore.

Nel frenetico mondo dell'informazione digitale, la pressione per essere i primi a pubblicare una notizia spesso supera la necessità di essere accurati. L'episodio della falsa notizia della morte di Noam Chomsky non è un caso isolato, ma sintomo di un problema sistemico.

Rimanendo in tema, l’elenco dei necrologi prematuri di Wikipedia descrive nel dettaglio quasi 400 casi di fretta eccessiva, con protagonisti celebrità e persone comuni.

In tempi recenti abbiamo imparato che le fake news sono perlopiù bufale create da non giornalisti: e, di fatto, siamo ancora tutti più propensi a pensarle all’interno di cornici come attività di disinformazione praticate tramite bot, testate controllate da propagandisti e campagne mirate sui social media. Eppure, guardandoci intorno, oggi ci accorgiamo che sono sempre più spesso da attribuire alla frettolosità e all’inaccuratezza di molti professionisti (o, talvolta, sedicenti tali) dell’informazione.

Nella Corsa alla Breaking News lo scontro diventa spesso Velocità contro Verità: per pubblicare per primi – e rispondere così ai dettami della notiziabilità, senza rischiare di “bucare” la notizia – i media finiscono per “uscire male”, dando un timbro di autorevolezza a fatti inesistenti.

I casi come quelli della falsa morte di Chomsky rappresentano la punta dell’iceberg di un problema più ampio e complesso. Questi errori, pur non essendo intenzionalmente ingannevoli, contribuiscono a mutare la predisposizione del pubblico verso il giornalismo. E il clima che ne risulta crea un terreno fertile per la proliferazione di fake news vere e proprie, quelle deliberatamente create per disinformare.

La linea tra errore giornalistico e disinformazione intenzionale diventa sempre più sfumata agli occhi della persona comune, rendendo cruciale un’analisi critica delle fonti di informazione e dei processi di verifica delle notizie.

Col tempo, il fenomeno della corsa all’oro del click ha aumentato la difficoltà a distinguere le notizie vere da quelle false, compromettendo ulteriormente l’attendibilità del giornalismo. Senza contare che, ovviamente, la proliferazione di notizie false non è solo un problema di integrità giornalistica, ma ha profonde conseguenze sociali e politiche.

Innanzitutto, per l’appunto, instilla sfiducia nei lettori. Il Rapporto sulla comunicazione 2023 del Censis ha rivelato che il 72,6% degli italiani ritengono che sia ormai difficile distinguere le notizie vere dalle false, o dalla propaganda. 

Secondo l’ultimo Edelman Trust Barometer, un rilevamento condotto in 28 Paesi del mondo, il 73% degli italiani ritiene che i giornalisti stiano deliberatamente cercando di fuorviare diffondendo informazioni false o grossolanamente esagerate. Una percentuale più alta di quella registrata dai leader dei governi (72%) e dagli imprenditori (68%). 

Lo si nota anche empiricamente: molto spesso nei commenti ai post delle testate dozzine di utenti ricorrono all’appellativo “giornalaio” –  suggerendo un uso dispregiativo del termine per sminuire la categoria – presentissimo anche nelle conversazioni quotidiane che si possono carpire per strada.

Tutto questo produce un impatto socio-politico rilevante: il dilagare delle news finte o fuorvianti può influenzare i processi elettorali e le decisioni politiche cruciali (e di questo abbiamo avuto diverse prove a livello internazionale negli ultimi anni, dal trumpismo fino a Brexit). Il paradosso, tuttavia, è che anche la lotta alle fake news potrebbe portare a conseguenze inattese e controproducenti.

Un rapporto di Rand già nell’ormai relativamente lontano 2018 suggeriva che l'attenzione costante alle fake news avrebbe portato a un «declino della verità», cioè a un milieu in cui le persone diventano sempre più scettiche verso le fonti di informazione, di fatto ridimensionando il ruolo centrale di una verità oggettiva e verificabile.

Tra i rischi delle fake news così intese c’è anche l’effetto backfire: i tentativi di correggere le informazioni errate possono in realtà rafforzare le convinzioni originali, specialmente tra i gruppi ideologicamente allineati, in una delle dinamiche più standard nelle camere dell’eco dei social media.

Allora che fare, volendo citare il titolo di un noto romanzo dello scrittore russo Nikolaj Černyševskij? Come possiamo invertire la rotta?

La chiave per combattere la disinformazione potrebbe passare dall'educazione. Anzi, da un’alfabetizzazione mediatica. Un programma pilota in Ucraina ha dimostrato che un’educazione mediatica di questo tipo può aumentare significativamente la capacità delle persone di riconoscere e identificare le notizie false a cui sono esposte ogni giorno.

Un’altra soluzione potrebbe esse il fact-checking collaborativo. L’International Fact-Checking Network promuove standard globali per il fact-checking e la collaborazione tra i “verificatori di fatti” dentro e fuori le redazioni di ogni parte del mondo. L’unione fa la forza, o almeno c’è da sperarci.

La corsa alla viralità continua a mettere a rischio l'integrità dell'informazione, e solo attraverso uno sforzo collettivo possiamo sperare di navigare nel complesso panorama informativo del XXI secolo senza perdere di vista la cosa più importante: che era, è, e rimarrà la verità.

Altre news dal fronte

  • Perché i maschi adolescenti sono, sembra, più attratti dalle sirene dell’estrema destra rispetto ai loro nonni? Il parere della ricercatrice di Stanford Alice Evans;

Evviva! Hai completato l’iscrizione a Culture Wars. La correzione del mondo
Daje! Ora dai un’occhiata e considera di passare alla versione premium.
Errore! Iscrizione impossibile a causa di un link non valido.
Bentornato/a! Login effettuato.
Errore! Login non andato a buon fine. Per favore, riprova.
Evvai! Ora il tuo account è attivo, hai accesso a tutti i contenuti.
Errore col checkout via Stripe.
Bene! Le tue info di fatturazione sono state aggiornate.
Errore! Le tue info di fatturazione non sono state aggiornate.